Beba, “Crisalide”: la capacità di trasformarsi rimanendo se stessi
Lunga e travagliata la storia del rap al femminile in Italia, dai tempi de La Pina (si, proprio quella di radio Deejay) e Irene Lamedica, l’hip hop declinato al femminile ha sempre trovato un muro invalicabile. Facile, ma assolutamente vero, puntare il dito su un machismo ossessivo compulsivo che per anni ha fatto di tutto per tenere alla larga dal proprio mondo delle rapper di indubbio valore. Fenomeno questo che in realtà di cui possiamo decisamente vantarci (al negativo), se pensiamo invece ad artiste come Mary J. Blidge (visto il Superbowl?), TLC, Destiny’s Child, Missy Elliot, Nicky Minaj, Iggy Azalea, etc…
Fortunatamente questa tendenza negli ultimi anni (e poi qualcuno dice che certe battaglie sociali siano sterili e buone solo per i social media) sta decisamente cambiando. La scena femminile italiana che ruota intorno a un più generico concetto di Urban music si sta sviluppando in quantità (la qualità c’era già eccome, ma è chiaro che la “concorrenza” alza anche il livello).
Tra queste c’è Beba, rapper torinese (ma ora di base nella capitale italiana dell’urban, Milano) che già dal 2015 ha iniziato a intraprendere i primi passi della propria carriera con tutte le difficoltà legate a quanto scritto sopra.
Le prime produzioni che evidentemente fanno drizzare le orecchie “a chi di dovere” sono del 2017, grazie alla collaborazione con la producer Rossella Essence, che portano Beba a fare il salto discografico decisivo (entra in Island Records e nel 2019 appare in Machete Mixtape 4).
Una gavetta che, ultimamente, non vediamo quasi mai con giovani talenti che passano dalla cameretta ai palasport con un click di televoto. Beba invece compie il proprio percorso artistico in quella forma “d’altri tempi”, ma che probabilmente rende più credibile l’artista stesso.
Alla fine del 2021 esce quindi “Crisalide“, il primo album di Beba. Anche in questo caso siamo di fronte tutto sommato ad un concetto “classico” di album e non una compilation sterile di infiniti singoli già usciti.
“Crisalide”, come nella tradizione dell’hip hop, si può fregiare di featuring importanti: si apre subito con Carl Brave nella title track, ma lungo le 14 tracce troviamo anche la presenza, tra gli altri, di Willie Peyote e Myss Keta.
Musicalmente però, sia chiaro, non siamo di fronte ad un disco old school: conoscerla, maneggiarla non significa necessariamente servirsene. È un disco dall’ampio sonoro musicale: spesso ci imbattiamo in una cassa in 4 che ha sicuramente poco a che fare con l’integralismo hiphopparo. D’altronde quelle sonorità erano figlie di tecnicismi (a volte casuali) di chi maneggiava i vinili e di chi poteva permettersi delle 808. Restare legati a quel suono, non è reato, ma non lo è nemmeno usare sonorità differente sulle quali far scivolare le proprie barre.
E Beba questo fa. Una voce capace di non limitarsi a ritmiche serrate (anche se i suoi freestyle e i suoi extrabeat sono di notevole fattura). C’è la melodia, ci sono gli incisi: ci sono le canzoni.
Beba parla di tutto, ma parla soprattutto di sé. Il suo raccontarsi non appare mai un overacting; non c’è quella voglia di stupire, di scandalizzare, di dover far parlare di sé ad ogni costo (cosa che spesso fanno quelli che in realtà non hanno proprio nulla da dire di sé).
Il titolo del disco, è il manifesto di Beba, Crisalide, forse uno dei concetti più emblematici di quella che è una trasformazione. Una trasformazione che l’artista affida, in modo semplice e onesto, alle canzoni: dettaglio non così scontato nel mercato discografico attuale.