Dopo “Notti bianche”, ispirata all’omonimo romanzo di Doestoevskij, il professore–rapper bolognese Murubutu e l’amico Claver Gold si sono lasciati nuovamente ispirare dalla letteratura, omaggiando con un concept album l’opera “sacra” della nostra storia letteraria: La Divina Commedia.
Infernum, uscito ufficialmente il 31 marzo 2020 per Glory Hole Records, in particolare si propone di far rivivere, attraverso lo storytelling magistrale dei due rapper, tematiche e personaggi dell’Inferno dantesco. Usando quella “allegoria” cara a Dante, li adattano all’odierno contesto storico, sociale e culturale, dimostrando come i contenuti danteschi siano trasversali ad ogni epoca.
Le tracce sono undici, come le sillabe dell’endecasillabo dantesco, ma la prima e l’ultima si presentano rispettivamente come introduzione ed epilogo quindi il cuore dell’album sono le 9 tracce dedicate ai singoli personaggi. Un numero certamente non casuale dato che il 9 per Dante rappresenta la perfezione massima (perché è il quadrato del numero 3 ) e dato che anche lo stesso Inferno Dantesco è composto da 9 cerchi.
Come Dante, Claver Gold e Murubutu non sono solo auctores ma anche agentes cioè si presentano sia come autori che come effettivi protagonisti della discesa negli inferi, descrivendo ciò che vedono e sentono. Claver Gold in particolare appare più introspettivo mentre Murubutu rimane distaccato e descrive aspramente le vicende. Con quest’album i due rapper dimostrano tutte le potenzialità del genere musicale e si confermo due tra le migliori penne del panorama italiano.
Iniziamo ora anche noi la ”discesa” nell’Infernum di Murubutu e Claver Gold.
L’album si apre con ”Selva Oscura”. Nella Commedia è il luogo simbolico in cui si smarrisce Dante, allegoria del peccato in cui ogni uomo può perdersi nella propria vita. Nella canzone di Murubutu e Claver Gold sono assenti riferimenti al luogo e al I canto ma viene ripresa la tematica del peccato, con echi della voce dall’attore Vincenzo di Bonaventura, che interpreta frammenti di versi danteschi riguardanti i peccatori che successivamente incontreremo.
La moltitudine delle voci e i suoni angosciosi di Dj FastCut rielaborano e rinnovano l’immaginario sonoro descritto da Dante nell’Inferno. Dante infatti nella Divina Commedia inserisce spesso riferimenti musicali e la musica accompagna il suo percorso spirituale. Più ci si avvicina a Dio e alla salvezza, più la musica si fa armoniosa e piacevole (nel paradiso predomina il genere polifonico).
È chiaro dunque che all’Inferno accade tutto l’opposto: non ci sono armonie musicali e i vari rumori costituiscono una sorta di “antimusica”, sgradevole e confusionaria. Dante ci descrive l’atrocità del luogo attraverso le suggestioni sonore. Nell’aria risuonavano rumori angosciosi, sospiri e pianti: “Quivi sospiri, pianti e alti guai/ risonavan per l’aere senza stelle” (Inf III, vv. 22-23). Si udivano anche lingue diverse, orribili pronunce, parole di dolore e rabbia “Diverse lingue, orribili favelle/ parole di dolore, accenti d’ira” ( Inf III, vv 25.27).
La successiva canzone “Antinferno” si apre proprio con una ripresa dei versi dantestichi appena citati: “Questi sospiri, pianti ed alti guai/ fanno saltare l’aria senza stelle/ mentre in lacrime mi trascinai/diverse lingue orribili favelle”.
L’antinferno è il luogo situato tra la porta dell’inferno e il fiume Acheronte, dove si trovano le anime degli ignavi: coloro che nella vita non hanno mai scelto. “Anime nude senza nome/Senza infamia e senza lode/Senza vita e senza morte”, canta Davide Shorty. Tra loro ci sono anche gli angeli neutrali cioè coloro che per viltà durante la lotta tra Dio e Lucifero non si schierarono per viltà.
“Angeli vivi, no no, angeli vili / che alla sfida non partì né per Dio né per Lucifero” (Murubutu).
Interessante la conclusione della strofa di Murubutu. Fa riferimento alla terzina 58-60 del Terzo Canto dell’inferno, in cui Dante dice di riconoscere tra gli ignavi l’ombra di “colui che fece per viltade il gran rifiuto”. Dunque il Sommo sceglie di non pronunciare il nome dell’anima ma ci indica solo la caratteristica che lo contraddistingue cioè la viltà a causa della quale non portò a termine il proprio incarico, voluto da Dio.
La critica ha successivamente formulato quattro ipotesi sull’identità di questo peccatore: 1) Celestino V, pontefice dell’epoca di Dante che aveva rinunciato all’incarico papale, spianando la strada al nemico per eccellenza di Dante, Papa Bonifacio VIII. 2) Esaù, il figlio di Isacco che, secondo le Scritture, barattò la propria condizione di primogenito e quindi il ruolo di capofamiglia, per un piatto di lenticchie offertogli dal fratello minore Giacobbe. 3) Giano, il giovane che nel Vangelo di Matteo rifiuta di seguire Gesù per non disfarsi delle sue richezze, condizione che Cristo gli aveva posto come preliminare. 4) Ponzio Pilato, il noto prefetto della Giudea che si rifiutò di esprimere un giudizio su Gesù, “lavandosene le mani” e lasciando che la folla decidesse quale detenuto liberare.
Murubutu lascia aperta la questione e chiede all’ascoltatore di scegliere tra le varie opzioni: “Vedi tu di chi fu il gran rifiuto e scegli/ Celestino, Esaù, Giano o Ponzio Pilato?
Come Dante alla fine del Terzo Canto, dopo l’incontro con gli ignavi, giungiamo sulle rive del fiume Acheronte. Qui il “timoniero dell’impero delle anime perse / spinge fiero il vecchio legno nell’oscurità”. Si tratta di Caronte, traghettatore dell’Ade, descritto già nell’Eneide di Virgilio. Dante ne accentua l’essere demoniaco, descrivendolo come vecchio dalla barba bianca, con gli occhi circondati di fiamme, che minaccia e percuote con il remo le anime, carico d’odio.
“Non isperate mai veder lo cielo, i’vengo per menarvi a l’altra riva ne le tenebre eterne” diventa “Voi non vedrete più il cielo/io vi porto le tenebre eterne” nella strofa di Murubutu
Queste caratteristiche emergono anche nella canzone di Murubutu e Claver Gold. “D’antico pelo, pieno di astio e di boria”, riferisce Murubutu, aggiungendo una sfumatura psicologica al suo personaggio. “Perché tutto ciò che odia è soprattutto la sua identità”. Ed ecco che Caronte ci appare subito più umano. È un po’ il bullo che se la prende con i più deboli per sentirsi forte e nascondere la sofferenza provocatagli dal suo aspetto mostruoso.
Il ritornello e la successiva strofa di Claver Gold suggeriscono un’ulteriore interpretazione della canzone. Caronte diviene una metafora della dipendenza da eroina, anch’essa traghettatrice delle anime verso l’Inferno.
“Se cerchi un passaggio per un’altra vita perché la vita non è come vuoi sali sul legno del demone guida”
La raffinatezza stilistica dell’ultima strofa mette in risalto la capacità di scrittura di Claver Gold. Notiamo ad esempio l’abbondanza di rime interne (Stringevo forte due monete per pagare il pegno/ per pagare il legno, soprattutto per sentirmi degno”). Ascoltando la canzone con le cuffie si nota che il beat utilizza toni binaturali che riproducono sonoramente il passaggio da una sponda all’altra del fiume.
Dopo essere stati traghettati da Caronte, ci troviamo in cospetto di Minosse, l’antico re e legislatore di Creta, divenuto giudice infernale dai caratteri bestiali
Ringhia, ha una lunga coda che avvolge attorno al corpo tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Claver Gold e Murubutu ne traggono spunto per riflettere sui propri peccati e sulla relativa pena nell’aldilà. Claver Gold mette le mani avanti e rimprovera se stesso per aver amato troppo e non aver portato rancore. Murubutu invece riferendosi al contrappasso dantesco, ipotizza le varie torture che dovrà subire nell’aldilà, immaginando che per il suo amore per le parole sarà punito per millenni “a stare senza verbi”. Non mancano i riferimenti alla contemporaneità e infatti Claver Gold menziona Pino Daniele e Pietro Maso (reo confesso di uno dei più noti casi di omicidio familiare della cronaca italiana).
Oltrepassato Minosse, un vento eterno trascina senza tregua la folta schiera dei lussuriosi, coloro che non hanno saputo far prevalere la ragione sull’istinto.
Tra questi ci sono Paolo e Francesca, i due cognati che divenuti amanti leggendo dell’amore di Ginevra e Lancillotto e che per questo furono uccisi. Murubutu nella sua strofa rielabora il momento del bacio tra i due, raccontato da Francesca alla fine del quinto Canto dell’Inferno. Egli riesce a narrare in maniera straordinaria l’eternità di quell’attimo di passione, dando spazio da un lato alla passione e dall’altro allo struggimento interiore dei giovani. Il ritornello, cantato da Giuliano Palma, risulta molto orecchiabile e pone l’accento sulla forza di quell’amore fatale, che resiste anche nell’aldilà.
Resta con me/Anche se non c’è domani/Resti per me, oh ye. Il migliore tra i peccati/ Dopodiché/ Voleremo tra i dannati/Persi dentro un cielo eterno/Al centro del nostro universo/Io muoio di te.
Claver Gold sceglie di dar voce al personaggio di Paolo (che nella Divina Commedia non si esprime), cantando l’inevitabilità di ricambiare chi ti ama, l’eternità della forza amorosa e la dolorosa tragicità del loro amore. Riprende infatti il celebre verso dantesco “amor ch’a nullo amato amar perdona”, completandolo con “e io ti amo come allora”.
“Pier” secondo me è la traccia più riuscita del disco.
Il personaggio dantesco di riferimento è Pier della Vigna, consigliere di Federico II di Svevia, vittima degli inganni dei cortigiani invidiosi, che lo accusarono ingiustamente di tradimento, portandolo al suicidio. Per antonomasia, nella canzone dei due rapper il protagonista è Pier, un adolescente vittima di cyber bullismo. Al posto della corte ci sono la scuola e i social network. Il ragazzo vive lo stesso disagio ed emarginazione sociale del Pier dantesco.
“Ti sei chiuso dentro un guscio di paure e stanco / non hai la forza di lottare e tornare nel branco. Non hai più voglia di sedere solo su quel banco / quando nessuno, sì, nessuno vuole starti accanto. Sono scomparsi quei commenti sotto la tua foto / ma alcune frasi son rimaste fan parte di me”
Come lui sceglie la morte come strumento per fuggire da quell’Inferno terreno.
“Quindi mamma, scusa tanto, non sono felice/ Il mio cuore prende il largo da ogni sguardo ostile. Nella stanza, sul mio banco, all’alba giù in cortile/ Oggi non ci sono più, c’è un albero di vite”.
L’albero di vite è un chiaro riferimento alla punizione che Dante assegna ai suicidi ovvero essi sono uomini trasformati in piante. La scelta di specificare l’albero di vite potrebbe essere un’ulteriore strategia sottolineare il collegamento Pier-Pier della Vigna, dato che “vite” e “della vigna” fanno parte dello stesso orizzonte semantico.
Come Pier delle Vigne, anche Taide è un’altra figura allegorica che Claver Gold e Murubutu trasportano ai giorni nostri.
È una prostituta di una commedia terenziana, riportata da Dante come esempio di adulazione ma in realtà il suo peccato trae origine da un fraintendimento da parte di Dante di un passo del De Amicizia di Cicerone. Claver Gold e Murubutu in particolare ridanno dignità a questa figura. Non è più una puttana adulatrice ma una donna che ha perso la capacità di amare.
Non poteva di certo mancare il riferimento a uno dei più celebri passi della Divina Commedia. Sto parlando dell’incontro con Ulisse nel XXVI Canto, ambientato nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, dove i consiglieri fraudolenti sono intrappolati in lingue di fuoco.
“L’ottava bolgia forgia fiamme mentre il giorno muore/dentro ogni fuoco c’è lo spirito di un peccatore”.
È uno dei testi più raffinati dell’album. Procede con allitterazioni, assonanze e rime interne e l’esperienza di Ulisse è descritta con analogie (“dove ogni sbaglio era un bagaglio ricolmo di niente”). Vi è il ricorso anche alle sinestesie (es. “mare bollente”). La tematica è come nella Divina Commedia la volontà di conoscenza. Ulisse infatti, assetato di sapere, varca le colonne d’Ercole, superando i limiti umani e peccando dunque di hybris (tracotanza).
Claver Gold nell’ultima strofa riprende l’invocazione alla Musa con cui si apre l’Odissea omerica: “Cantami Musa dell’eroe di Grecia e le sue gesta/ che brucia lento tra le fiamme al canto della Bestia / che sfidò il fato fino all’ultima triste tempesta”. Interessante come Claver rielabora il prologo omerico. Ulisse non è più caratterizzato per la sua astuzia ma per aver sfidato il fato e scompare il tema del ritorno poiché Ulisse non fa ritorno a Itaca ma brucia tra le fiamme infernali.
Nonostante l’ambiziosità e rischiosità della prova, i due rapper a mio avviso l’hanno superata egregiamente.
Il risultato è un album estremamente raffinato, ricco di spunti di analisi e riflessione capace di rendere i contenuti originali più vicini alla sensibilità del lettore / ascoltatore odierno, senza però tradirli. Io se fossi stata ancora al liceo, dopo l’ascolto di questo album, sicuramente avrei affrontato più volenti quelle infinite ore di studio di parafrasi e note. Dunque spero possa essere così anche per le nuove generazioni di liceali.
Ascolta qui “Infernum” di Murubutu e Claver Gold
In copertina un'opera di Roby il pettirosso