Caterina Cropelli al suo disco d’esordio: è brava e si applica
Avevamo conosciuto Caterina Cropelli, appena ventenne, durante la decima edizione di X Factor. Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata. Tutto il percorso che ne è scaturito lo ritroviamo condensato dentro un disco, uscito in piena quarantena: cosa che richiede un certo coraggio, specie per un’artista esordiente. L’album Caterina non è soltanto una raccolta di brani diluiti nel tempo, molti dei quali già usciti in precedenza come singoli. È soprattutto un piacevole percorso musicale che ci conduce per mano lungo una rinnovata capacità di riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni. Il che, in qualche modo, equivale alla capacità di riconoscere e dare un nome a se stessi.
La musica si rivela perfettamente cucita ai testi. E viceversa.
Incalzante come un soffio che incita al movimento, la melodia tiene il ritmo del respiro, mentre spesso i versi nostalgici che suggeriscono di primo acchito una ballad si trasformano in sorprendenti sonorità pronte a spiccare il volo. Il sound che permea l’intero lavoro è un crescendo romantico che segue un’onda suadente e avvolgente (preponderante, a tal proposito, il ruolo degli archi). I ritornelli esplodono in profumi e atmosfere che si collocano fra la primavera e l’estate, in quel momento dell’anno dove le cose rinate si preparano già a vivere rigogliose e consapevoli.
Rigogliosa e consapevole è anche la voce di Caterina che, nella sua dolcezza disarmante, si fa via via più forte, riuscendo a padroneggiare anche i ritmi accelerati e le rime incalzanti de La tua collezione, il featuring con Anansi, artista trentino come lei, avvezzo tanto alla black music quanto al pop, in un quadro che è di una sinergia perfetta. Si gioca sui contrasti e si vince, grazie ad un’intimità spezzata dal beat ma resa eterea da una voce carezzevole, potente ma sempre leggera, e soprattutto adattabile ai diversi scenari che racconta. Tra questi, l’atmosfera incantata che accompagna il finale sorprendente del disco. L’ultima traccia contiene infatti dei ringraziamenti magistralmente musicati, in grado di rendere l’intero lavoro indubbiamente più sentito e sicuramente più personale.
Personale come il percorso di Caterina all’interno di queste canzoni, fra i suoi “milleuno perché” che danno il via ad un album scorrevole ma non per questo meno profondo. Come il fiume cantato in Soffio, che ci ricorda l’esigenza di andare, rendendosi finalmente conto di un desiderio: quello di capirsi e di trasformarsi. Prima ancora di questo, Caterina canta la necessità di accettarsi, nel nostro essere “fuori posto” come in O2 o “fuori tempo” come in Quando. Si tratta di accettare i precipizi della vita e le ferite che ne conseguono per riuscire infine a superarli volando.
Cambiare il finale, navigare a vista per lasciarsi sorprendere.
E poi accorciare distanze (e paure) per riscoprire la voglia di mostrarsi come si è: nudi, senza maschere nemmeno a carnevale. L’augurio che Caterina fa alle nostre vite e alla propria è quello di abbracciare tutte queste azioni, insieme al rischio che esse comportano. È il rischio di trovarsi disorientati, perdere le coordinate della propria vita e scoprirsi sempre in un altrove, “sulle stelle, dietro le svolte, sotto le palpebre, tra mille forse”. Da questo altrove, la tentazione di rimandare è forte. Rimandare a ieri, cioè a mai (visto che il passato non si può cambiare). Oppure rimandare al Duemilacredici, il tempo indefinito che forse è soltanto un paravento, ma da dove possiamo trovare sempre altro tempo da perdere. O, in definitiva, da vivere.
Caterina, in questo album omonimo, ci stupisce e ci conquista.
Ci dimostra come il mondo dei talent, spesso bistrattato, possa rivelarsi un buonissimo punto di partenza per talenti veri. Ci fa emozionare, in un percorso che tocca corde rimaste impolverate dentro di noi, e lo fa non venendo mai meno alla sua inaudita delicatezza. Infine, ci ringrazia dell’ascolto, nell’ultima traccia, senza dare veramente nulla per scontato.
Anche se il testo di O2 dice il contrario, Caterina è brava e si applica.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.