Macchie è l’EP di esordio di Chiamamifaro, progetto dietro il quale si celano Angelica Gori e Alessandro Belotti. Cinque tracce, poco più di quindici minuti di ascolto.
Il faro come elemento caratterizzante il loro percorso, metafora di una luce capace di guidare il cammino e sconfiggere il buio. Il faro come ponte tra il passato ed il presente, tra anime in cerca di una identità (non necessariamente definitiva) e identità in cerca di anime sincere in cui trovare rifugio. E poi la musica, la voglia di raccontare le proprie emozioni. Platone la considerava pane per l’anima: faro per anime affamate ed inquiete.
Questo preambolo non è un filler sterile ed estetico. Serve a comprendere il perché di un titolo che sembra fare a pugni con il nome del progetto. Una macchia è qualcosa di estremamente personale, fugace, spesso spiacevole. Rovina il momento della festa, la cena con i parenti, la giacca prima della foto: vive nello specifico arco temporale in cui l’evento si manifesta. Lo smacchiatore, una passata di spazzola e via. Cosa c’entra con la luce perpetua del faro? Ci arriveremo.
L’EP è una spremuta fresca di pop narrativo.
La scrittura di Angelica ha voglia e necessità semplici ma efficaci: così si dovrebbe parlare della propria vita a venti anni. Siamo per fortuna lontani dalle sovrastrutture dei trenta e non abbiamo ancora perso l’urgenza di sgomitare tipica dell’adolescenza. Il diritto a lamentarsi, l’amore come necessità e briglia stretta, il futuro su cui sbuffare.
Limiti, traccia apripista, racconta la distanza (fisica ed immateriale) tra due corpi che teoricamente potrebbero anche funzionare ma che finiranno (probabilmente) con un naso rotto. Nella capacità di dipingere situazioni, nel continuo percorso ad ostacoli della protagonista tra caffè e problemi di cui non sente la pressione (l’affitto, i vestiti da abbinare) dobbiamo riconoscerle una certa bravura. Sarà per il tono di voce, sarà per la sincerità plastica con cui sembra voler far trovare una scusa per il naso rotto.
Pasta rossa segue la scia-binario di Limiti ma con un flash forward. La quotidianità, fatta di scontri e rotture, è alterata dalla fine di una storia che rivive nei piccoli particolari affettuosi come l’appunto cucinare insieme una semplice pasta rossa. Nella musicalità dello scheletro musicale contrapposto al sapore agrodolce del testo si nota, forte, il tocco di Zanotti dei PTN. La capacità di tratteggiare scene di vita quotidiana è sicuramente, come già osservato, uno dei punti di forza del progetto e la traccia riesce a essere canticchiata e a non risultare stantia: si riascolta volentieri.
Bistrot alza leggermente l’asticella: la narrazione è vicina al protagonista ma ne esalta al tempo stesso il senso di distanza. Il testo è più maturo, le tematiche più vicine al mondo dell’it-pop (la disillusione dei propri progetti, l’esagitata sensazione di fallimento) con l’utilizzo di marchi di fabbrica attuali come Dua Lipa, una birra IPA. La traccia, nella sua interezza, rappresenta il traguardo più alto della capacità descrittiva, nostalgicamente fresca, di Angelica. Non ha il piglio della hit di Pasta Rossa ma è un’avvisaglia dei possibili futuri scenari del duo.
Angelica ha scritto Londra a Londra (guarda qui la nostra Intervista Lampo). Ha dichiarato lei stessa quanto il suo intento fosse quasi scrivere un diario della sua esperienza inglese, delle giacché arancioni, del cielo grigio. Traccia che fa di una cupezza tipicamente british il suo punto di forza. Un brano confezionato bene ma che non ha purtroppo il mordente delle altre tracce: risulta molto persuasivo al primo ascolto, poi necessita di un tempo di decompressione per essere riascoltato.
L’EP si chiude con Domenica. Traccia onirica, raccontata con la noia riflessiva di un divano e pantofole comode. Angelica ripropone un topic, la noia riflessiva della settimana, su cui sono stati scritti interi trattati. Anche in questo pezzo, sia come struttura musicale sia come testo, si sente la carezza energica di Zanotti. Traccia pulita e intimisticamente en plein air. Angelica sembra la ragazza che racconta la sua vita durante la gita del liceo mentre tutto intorno è disordine. Te ne ricordi in una solitaria domenica dopo circa venti anni e ti scappa un sorriso spento per quanti dettagli non hai saputo cogliere. In questo, Domenica, traccia cenerentola, è la mia preferita.
Ritorniamo al punto di partenza.
Perché un progetto chiamato Chiamamifaro intitola il proprio EP di esordio “Macchie”? Angelica e Alessandro hanno dalla loro l’età, la voglia di crescere e persone come Zanotti che scommetterebbero case su di loro. La loro narrazione è irregolare, come una macchia su una camicetta, come la macchia di una penna che ha scritto troppo. Loro ne hanno compreso il valore salvifico, la potenza che quegli incidenti di percorso hanno e avranno nel loro percorso di vita. Piccole/grandi macchie che brillano di luce propria, sprazzi di vita vissuta a cui aggrapparsi nel momento del bisogno o anche semplicemente su una stanca poltrona. Il tempo per scrivere capolavori eterni arriverà: ci sarà tempo per crescere e pentirsene.