Se siete arrivati fin qui, è perché anche voi avete un’anima lattina. Sempre che ne abbiate una. Inutile girarci intorno: il 15 Marzo è uscito per Asian Fake Hype Aura, il primo disco dei Coma Cose, e tocca dire qualcosa a riguardo. Innanzitutto, partirei con una ammissione di colpa. Prima di stamattina non mi ero resa conto che in realtà il titolo dell’album è l’omofono di “hai paura”. Questo dettaglio ha cambiato drasticamente la mia visione dell’intero progetto.
Oggi tutto bene, sì, ma domanicomio.
Il cuore pulsante di questo lavoro è la parola, intesa come involucro fragile e duttile di significati e desideri. Non esiste confine che la limiti al di fuori della finitezza fisica, grafica, sonora. In Hype Aura, essa diviene un piacevole inganno, muta forma, permane sotto mentite spoglie. Si scompone, si decompone. Si rende partecipe di quel gioco semiserio che giunge, senza troppe pretese, a raccontare la quotidianità. Sembra quasi che i Coma Cose seguano la lezione del drammaturgo Antonin Artaud quando egli afferma che è necessario spezzare il linguaggio per raggiungere la vita. E California e Fausto questa volta si sono impegnati davvero. Prendiamo in esame solo alcuni esempi.
-
Ammazzo i vampiri come Dylan Dog/ Ma con la penna sono Dylan Bob
-
E non mi fare la morale che alla quarta pinta/Faccio Bukowski-fo se bevo la quinta
-
Se vuoi sparare una sentenza con un’arma dillo/ Che tanto brillo in una corazza di armadillo
-
Andare ai concetti/ Capire i concerti/ Laurearsi in problemi/ E regalare i confetti
-
Facciamo un’eccezione qui/ O dammi una lametta che mi taglio le venerdì
-
Non è facile capire di chi sia la colpa/ E ricomporre le tessere del puzzle-ini (Pasolini)
-
Mio nonno è tropicale, quindi ho un avo-cado
Dal significante al significato: la paura.
Che schifo avere rimpianti, però quanto è bello avere paura, canta California nel brano “Mancarsi”. La paura è il concetto nascosto alla base dell’intero disco. Tremare, sentirsi persi e senza un baricentro quando il terreno sprofonda sotto ai nostri piedi. Un’emozione, ci insegna Inside Out, nobilissima e utile. Una sensazione, ci ricordano i Coma Cose, che è un miracolo, una vertigine, la crepa della fiaba rassicurante sul nostro mondo.
La paura è alla base dell’amore per l’Altro, talvolta nei germi della sua distruzione. In un moto schizofrenico, ci porta lontano da ciò che desideriamo ed è necessaria per spingerci oltre il divario di ciò che ci terrorizza. È il silenzio dietro le quinte prima dello spettacolo, l’ultimo respiro a ridosso di una gara, un’azione incontrollata che manda tutto in frantumi. La paura è ciò che ci salva, ci tiene per i capelli, ma anche ciò che ci fa perdere l’ultimo treno prima che sia troppo tardi. Però quanto è bello avere paura, quanto ci fa sentire vivi, ancora non appartenenti al regno dei rassegnati.
Tana per me.
In un così sovrabbondante iperlinguaggio si armonizza la grammatica emotiva del duo ticinese. In questo turbinio di auto-citazioni, giochi di parole, metafore, suoni distorti si consuma la narrazione del mondo di Hype Aura. Ciò che non viene disvelato è dolorosamente presente, soffiato nei braccioli dei bambini in riva al mare. Per non annegare. Il paradosso lirico è come il gioco del nascondino. Il falso fine del poetico è il ritrovamento, mentre quello vero è l’abilità di saper nascondere e nascondersi.
In nessuno di questi testi troverete delle soluzioni, ma – con una certa sicurezza – posso dire che in nessun altro disco troverete una così grande quantità di strazianti indizi su ciò che state cercando.
E arrivati a questo punto del tragitto/ Se potessi cancellare una cosa/ Sarebbe il soffitto/ Ci siamo persi troppe lune.
In copertina un'opera di Chiara Zaccagnino