Disquisizioni su “Cinema Samuele”, nuovo disco di Samuele Bersani
Mark: Prima che uscisse il disco, questo cantante, che chiamerò semplicemente Samuele per tutta la disquisizione, ci teneva che il concetto di “cinema”, che formava il titolo del suo lavoro, non fosse soltanto una suggestione, ma una sorta di metodo con cui ascoltare il disco. Scegliere una traccia a sentimento, come un film. Un po’ alla cieca, un po’ per simpatia, un po’ perché dal titolo capisci il genere e magari ti incuriosisce di più. E io così ho fatto. C’era un titolo che mi aveva incuriosito più di tutti: era “Le Abbagnale”. Sarà la connessione sportiva, col mitico trio di canottieri olimpici, sarà che l’articolo determinativo plurale era insolitamente femminile, piuttosto che maschile, riferito a Giuseppe, Carmine e Agostino.
“Perché non sono due sorelle, e invece, tutti le chiamano Abbagnale”.
Da quella “sala” son partito e ho assistito a quello che è un vero e proprio “cortometraggio per non udenti”, così come una ragazza ha descritto il modo di fare musica del nostro Samuele.
E mi ha fatto capire che il disco che stavo per consumare svariate decine di volte non era altro che uno di quelli più vissuti, belli e veri degli ultimi anni. In un periodo storico martoriato da una pandemia, sì, ma soprattutto da questa musica fast food che, diciamocelo senza alcun senso di pudicizia, ci ha veramente rotto i coglioni.
Dopo aver sentito Samuele sul disco e nelle interviste, capisci che la musica d’autore non è morta, ma ha ancora dei meravigliosi baluardi da salvaguardare come fossero dei patrimoni Unesco. E che il signor Spotify, che afferma come un artista non possa più far passare 3-4 anni dall’uscita di un disco, non fa parte della nostra compagnia, come ribadito da Samuele in un’intervista al Corriere della Sera. Ho usato “nostra compagnia” perché nelle parole, scritte o cantate, di Samuele ti ci riconosci e ti senti un protagonista. Come in un film, proiettato al “Cinema Samuele”.
Michela: E così l’ascoltatore si sente anche spettatore di un film proiettato al Cinema Samuele.
Ma probabilmente, una volta riemerso dalle suggestioni provocate dalla contemplazione sonora dell’album, l’ascoltatore rischia di percepire un inspiegabile smarrimento. Le storie raccontate sembrano disperdersi in numerosi vicoli narrativi; i personaggi raccontati incarnano fragilità e tensione da incomunicabilità. Insomma, è un album talmente visionario che potrebbe risultare faticoso. Le sonorità sono dense e sperimentali, le linee melodiche per niente prevedibili. Samuele sembra porsi come una voce narrante onnisciente di un intreccio tra elettronica, cantautorato e attitudine rock. Il disco, come si è detto, può essere considerato come un cortometraggio per non udenti. Ma va detto anche che questa “magia” è dunque possibile grazie alla voce di Samuele che conduce anche il percorso di chi vuole davvero imparare ad ascoltare ironia, passato e presente, con una sottile pellicola di trasparente vulnerabilità.
Virginia: Vulnerabile potrebbe sentirsi chiunque, seduto su quella poltrona mentre guarda un grande schermo sul quale improvvisamente l’attore principale si volta verso il pubblico e inizia a cantargli la vita: dal più semplice al più delicato dei dettagli, senza tralasciare nulla.
“Cinema Samuele” è quella pellicola che ti tiene saldo al tuo posto fino ai titoli di coda, proprio nel momento in cui c’è quell’ultima canzone che raccoglie il senso di ogni minuto che hai visto. Samuele Bersani ritorna sulla scena musicale portando il suo estro, facendoci ricordare il significato del verbo “costruire”. Sì, perché questo album è il perfetto esempio di ciò che vuol dire gettare le basi e aggiungere poi un tassello alla volta, ognuno diverso e ognuno ugualmente importante. La penna di Bersani si rivolge a quel “cuore già troppo pulsante” che è il cuore di ogni persona che si pone all’ascolto e alla visione.
Il nuovo album è un viaggio per tappe, non per forza consequenziali ma uniche e differenti, con sonorità originali che rendono ogni traccia perfettamente riconoscibile e pronta per essere la colonna sonora, la giusta carezza per ogni persona che si appresta all’ascolto. Perché è proprio così che ci si accosta a questo inusuale cinema: ci si appresta, ci si prepara a compiere un’azione. L’azione è quella di impegnarsi, perché c’è bisogno di impegno nell’ascolto, impegno nella metabolizzazione, impegno nella consapevolezza. “Cinema Bersani” è la Nouvelle Vague del cantautorato italiano. Un’onda sincera, impavida, calata nella quotidianità dei sentimenti che si fa spazio e si distacca dalla confusione dell’usa e getta musicale a cui siamo stati fin troppo abituati all’ascolto.
Mark: Della “Nouvelle Vague”, Samuele, era già un esponente accreditatissimo, dopo quasi trent’anni di carriera.
Un percorso, il suo, unico, non replicabile, appartenente a quelli che la musica la metabolizzano nella pancia e la elaborano con la testa, dopo averci ragionato su, dopo essersi macerati su. “Cinema Samuele” commuove, perché ricorda che questo modo di fare musica esiste ancora ed esce meravigliosamente bene. Che “Un’altra musica è possibile”, parafrasando quasi fedelmente il claim dell’indimenticato regista Renè Ferretti. Ma oltre le considerazioni “politiche”, restano queste 10 tracce, appena prodotte, appiccicate addosso. E restano, il che è già un grossissimo traguardo al giorno d’oggi.
Penso specialmente a una canzone in particolare: “Il tuo ricordo”. È ammaliante la genuinità con cui Samuele parla delle sue debolezze e fragilità, come d’altronde fa nei suoi testi. Vedendo un’intervista alle Iene, in chiusura, ha voluto ribadire il fatto di essere innamorato. E che ci tenesse a farlo sapere. In altre interviste a diversi quotidiani ha raccontato di una ragazza a cui aveva “scritto così tanti sms per il cuore” a tal punto da non riuscire “nemmeno a scrivere più la lista della spesa, figuriamoci una canzone. Ero professionalmente spento”.
“Il passato riposa/Bellamente nel letto degli ospiti/O mi segue per casa/Come un’ombra incollato ai miei gomiti/Da buttarlo giù a calci/Apre bocca e lo fa sempre a vanvera/Con discorsi bugiardi/E la coda di paglia”
La sensazione nell’ascoltare “Il Tuo ricordo” è quella di essere di fronte all’obbligatoria accettazione della realtà.
Con delle parole scolpite su pietra, Samuele ha raccontato in poche parole, quello per cui c’è voluto mesi, per altri anni, soltanto per capirlo. Come se fosse un fantasma il passato ci prova, ci insegue quando meno ce l’aspettiamo, ci soffoca, quasi al punto di ridurci in brandelli. Un fantasma che si scontra con il presente, che paradossalmente viene sbaragliato. “Il passato ci prova”, “Il presente si trova”. Nell’intenzione e nell’esserci c’è la definizione dei numerosi dilemmi interiori dell’uomo. Nell’intenzione e nei permessi che concediamo, c’è la nostalgia e la malinconia, che per tutti è stata pane, almeno per un giorno delle nostre vite. E la metafora che Samuele coglie, seduto nel vagone di un treno, lascia un senso di conforto, per chi sa cosa vuol dire, sa cosa significa vivere così.
Lo scontro è proseguito/Anche sul treno/Chi è un abusivo/Chi paga intero/Proprio così se non vi è chiaro il concetto/Il passato non paga nemmeno il biglietto
Come una mazzata tra capo e collo, arriva questa frase che è una sentenza inoppugnabile.
“Il passato non paga il biglietto”. “Il tuo ricordo” è terapeutico e devasta quelle poche certezze che fingiamo di avere. Ci lascia nudi, al centro di una stanza, senza più tanti appigli mentali da afferrare. Senza più alibi nell’aver lasciato far da “padrone” al passato, dopo aver trovato il buco nella rete, dopo aver assuefatto il cervello come una droga.
Un’autostrada lunga, buia, con cui bisogna trovare il coraggio di farne i conti. È la capacità che solo i grandi hanno e Samuele è tra questi. Un uomo sperduto nel buio cosmico interiore, che ha trovato la luce grazie alla sua musica. Non importa se con 1 o 7 anni di distanza. Un uomo che, come il protagonista di “Harakiri”, ne avrà tirate di bestemmie di marmo, vedendo En e Xanax sul cofano che lo provocavano, ma che come d’incanto è uscito fuori, vestito di bianco, come una lucciola in mezzo a un blackout.
Michela: Ed è proprio vero però, “Cinema Samuele” commuove, cioè mette in movimento componenti varie dell’interiorità, che siano consapevolezze scomode o fantasmi del passato.
Ecco perché non è facile da ascoltare: rende necessaria l’accettazione di “agitare” sentimenti che molto probabilmente erano sopiti. Ecco forse il motivo per cui si può parlare di un album molto potente. “Cinema Samuele” accompagna alla visione della vita nelle sue infinite declinazioni che oscillano tra fragilità e incertezze, paure e bisogno di comunicare. Il brano “Mezza bugia” è un esempio lampante del tema speculare dell’incomunicabilità, che si ritrova in “Con te”, brano complesso anche in termini di linea melodica. E se parliamo di blackout, va detto che “Harakiri”, brano che ha lanciato l’album, segna proprio il ritorno della luce. Dopo un lungo e attento lavoro di ricerca di suoni e di consapevolezze, Samuele Bersani proietta nel suo “Cinema” considerazioni alquanto condivisibili.
Virginia: Condivisibile sì, condivisibile e speculare appare il Cinema in cui siamo portati a sederci, con calma e pazienza.
Un lavoro creativo tanto speculare quanto dubbioso e per questo motivo vero. Samuele Bersani infatti si spoglia di ogni artificio e il Cinema in cui proietta le sue narrazioni diventa uno specchio che riflette la sua creatività, così ampia ma così calata nella realtà. Quello specchio, quando riflette anche solo una piccola parte di noi o della nostra fantasia, diventa sicuramente condivisibile. Questo Cinema è particolarmente curato senza risultare però finto ed è questa la forza di un lavoro creativo che si può definire davvero tale: la raffinatezza e la cura degli arrangiamenti, affiancate alla narrazione così complessa ma naturale di Bersani, ci mostrano le varie sfaccettature di un lungometraggio.
Non c’è il regista più importante dello sceneggiatore, né compositore più importante del direttore della fotografia. È un lavoro corale, in cui ogni particolare va a cucire una parte importante della storia che ci vuol essere descritta. C’è però l’estro di Bersani che tesse la trama di questo album, filo per filo, traccia per traccia.
Ho un miliardo di pixel […] / non avvicinarti è meglio che / ci si conosca prima per il male che mi farai
Quei miliardi di Pixel diventano, ad un ascolto totale, gli elementi che compongono una più estesa immagine, che è il Cinema che ci viene con delicatezza riposto tra le mani. Ma ogni immagine non avrebbe di che sussistere senza ogni piccolo pixel, all’occhio invisibile ma perfettamente riconoscibile andando in profondità.
Ascoltare “Cinema Samuele” diventa un allenamento dei sensi, totalizzante e immersivo: ascoltare e immaginare è un dovere che non risente della severità di questo sostantivo, quanto piuttosto della gratitudine di poter esercitare il dovere (ma sì, anche il diritto) all’ascolto complessivo. Perché finalmente, con questo disco, il fruitore esterno ritorna davvero ascoltatore: attivo, coinvolto, presente.
La Redazione
Scopri la musica che ti piace attraverso le nostre interviste, recensioni e tutte le attività!