Erin fa parte del collettivo Bnkr44 di stanza a Villanova, piccola frazione di anime nella campagna toscana. Avevamo già parlato del loro disco, 44.DELUXE (leggi qui). Una sorta di barchetta spinta con moto perpetuo nel mare stagnoso della pandemia. Un album senza riferimenti statici, etichettato come post-rap, post-trap, post-tutto. Torneremo su questo punto. Erin ne fa parte, ne è forza vitale, marinaio, geografo e corriere di bordo: “Luce Spenta” è un EP figlio, un ibrido in cui riconoscere del preciso patrimonio genetico.
Otto tracce che sarebbe però scontato liquidare come spin off del fratello maggiore: “Luce Spenta” di spento ha solo il titolo.
La radiazione luminosa emessa ha i contorni della sacralità, di misteriosa profondità. Erin ha scelto di raccontarsi senza recitare a soggetto, senza scegliere una via maestra o una rotta ben delimitata. Il risultato è qualcosa di non classificabile se non per l’autore stesso. Un quaderno pieno di appunti, una valle in cui il fiume muove rocce, sposta rametti e crea nuovi giochi d’acqua. Questa ricchezza di scenari si riconosce nella struttura musicale easy listening di 100 scheletri, passando per le mani nelle mani di Lacrime Rosse e la potenziale normalità di Mastico le mani. Non vi sono linee di tensione, sovrastrutture di trama. Erin è sfuggente, è simile a noi ma inafferrabile. La trama è simile, lo sfondo non può essere dipinto.
No, non è sciatteria questa scelta stilistica. Erin sa bene quanto a venti anni le emozioni si interfaccino con i giorni senza apparente senso: Forbici e Sul cemento, strutturalmente diverse, sembrano separate da un fossato di coccodrilli.
È questa la rivoluzione gentile a cui abbiamo accennato per 44.DELUXE: l’inclassificabile eterogeneità di stili, sensazioni e corde vocali. Raccontare la vita attraverso il conforto di pareti spesse ed un divano su cui gettarsi sfiniti. Erin persegue il progetto rendendo quel bunker ancor più delicato: la sua stanzetta è fatta di una luce spenta sotto la quale raccogliere stili, prospettive e manuali di qualità personali.
In Criminale è ancor più presente l’elemento narrativo della città, quella copertina in grado di fornire conforto e non spaventare. Ventilatore rotto è una scanzonata giornata come tante altre, immersa nella quotidianità. Maniche larghe chiude il libro, respirando tradizione italiana e larghi respiri.
Un EP che non può non straniare al primo ascolto.
Lo dico in maniera positiva ovviamente. Ricorda tante tappe, tante sfumature che riempiono le nostre playlist e i nostri fogli. Il retrogusto che ne esce fuori è quello delle gomme frizzantine: strano ma piacevole. Le si sceglie anche per questo, vero? Ecco il motivo per cui andrebbe ascoltato: ne conosciamo la genesi ma pezzi come 100 scheletri e Forbici puoi portarli sempre con te. Dove? Dovunque.
Lasciarsi coccolare da venti che non conosciamo, consapevole che tutto ha una genesi senza necessariamente un traguardo. E allora facciamolo nostro il testo di Sul cemento:
“Ci lasciamo sul cemento dietro una stazione. Troppi limiti pеr trovare una direzione. Ho paura un po’ di tutto, allo spеcchio sono brutto. Luce spenta senza trucco”.
Abbandoniamo le porte sicure, i filtri che ci rendono perfetti, abbracciamo le nostre cicatrici, le nostre camerette sicure.
Un EP che fonde quindi tutte le attuali tendenze narrative musicali italiane senza doverle per forza classificare. Come le nostre playlist Spotify, quelle delle tracce che ci piacciono e che ricordano giornate random. Luce spenta e lettore acceso.