Che Gianni Maroccolo nei panni di “suonatore indipendente” fosse a proprio agio è ormai evidente da anni. Il fu bassista dei Litfiba e dei CSI infatti non ha mai smesso di produrre e scrivere musica da ormai quasi quaranta anni (i primi lavori coi Litfiba infatti risalgono ai primissimi anni ottanta).
Di acqua sotto i ponti ne è passata decisamente parecchia, ahimè nemmeno i ponti sono più gli stessi di allora.
Da solista poi probabilmente con A.C.A.U. Maroccolo segna il proprio “esordio” discografico vero e proprio. Da allora ha alternato lavori prettamente propri a collaborazioni e produzioni che sottolineano proprio quella dedizione al “consorzio”, a ritenere la musica e non il musicista al centro dell’attenzione di ogni singolo progetto abbracciato, condiviso, pensato e realizzato.
In questo percorso solista nel 2018 esce Alone, primo “episodio” musicale che ora, con il volume 4 sembra aver trovato la propria definizione.
Infatti quello di Alone sembra un percorso iniziato senza conoscere esattamente la meta. Il che nella musica, molto spesso, può rappresentare un valore aggiunto dal momento che porta l’artista a esplorare, lui per primo, sentieri sconosciuti senza pensare a ciò che sarà, ma solo a ciò che è.
Marok non è solo, questa volta. Ad accompagnarlo in ogni sentiero, ci sono compagni di viaggio nuovi e sicuramente di “vecchia data” che prestano sé stessi alla realizzazione di questo album che difficilmente può trovare una catalogazione tra i generi musicali, poiché siamo di fronte ad un’idea, più che ad un suono.
Non siamo di fronte ad un lavoro “facile”, rilassato, sereno.
Ci sono elementi pesanti di inquietudine, di difficoltà, ma forse è questa la sua forza. Ricordarci, ricordarsi che esistono stanze buie ci permette di apprezzare di più la luce e percorrerle o so/stare in esse non da soli è una fortuna che bisogna sempre tenere a mente.
Quindi, come dicevo, in questo viaggio, in questa permanenza forzata nel buio Gianni Maroccolo non è solo. Ritrova già dalla prima traccia T.S.O. X compagni di viaggio che conosce benissimo: Luca Martelli (Litfiba) alla batteria e Giorgio Canali (segue elenco lunghissimo) alla chitarra.
Una prima traccia senza voce, senza parole.
D’altronde di fronte ad un trattamento sanitario obbligatorio diventa difficile trovare qualcosa da dire. Quella scelta e quella necessità trovano nel “niente da dire” la loro massima espressione. Lo spazio è tutto per i suoni (articolati, incrociati, connessi e sconnessi in un andamento poco prevedibile).
La voce entra con Sognando, in cui sicuramente un improbabile duo formato da Don Backy ed Edda (Ritmo Tribale) sostengono una traccia in cui il basso è l’unico elemento sonoro costante a cui chitarre lontane, panpottate fanno la corte.
Nel viaggio del disco ogni traccia racconta di sé, poiché ciascuno dei “suonatori/accompagnatori” mette la propria visione musicale nel progetto. Così in Echi è la raffinatezza e il gusto per un’elettronica ricercata di Flavio Ferri (Delta V) a fare da padrona. E mentre tu giri, giri e giri, io ti guardo è una “ballata” con le chitarre di Umberto Maria Giardini (Moltheni) mentre a voce baritonale di Giorgio Canali ritorna in Lettera di Ida Dalser. E poi c’è l’incredibile capacità di Theo Teardo (già autore di diverse colonne sonore e di un album con Blixa Bargeld) di trasformare il suono in visione in Hotel Dieu.
Dopo Sociopatia (ancora con la presenza di Canali e Ferri), c’è anche spazio per una voce femminile e raffinata come quella di L’Aura che in Ogni Luce si accompagna al piano.
Il tema della “luce” viene poi ripreso a conclusione dell’album: in cui la famosa luce di cui sopra, dopo aver percorso diverse stanze buie, appare, spazzando via tutta l’inquietudine e chiudendo questo viaggio con una nuova consapevolezza di sé.
In questa annata diventa difficile non ascoltare un brano, o in questo caso, un album senza pensare a quanto di ciò che è accaduto ne abbia influenzato la scrittura. Tutto quasi sempre sembra ricondurre lì, a un quando in cui nessuno avrebbe pensato di trovarsi. Questo quarto capitolo del viaggio di Gianni Maroccolo sembra esserne permeato di ogni sensazione vissuta durante questi mesi, e forse il suo ascolto, adesso, ha un potere quasi catartico ed esorcizzante.
Foto in copertina di Michele Piazza