“Che cosa ci ha insegnato la vita fino ad ora?” Forse è esattamente questa la domanda che fa da sostrato a Mostri, il nuovo disco di Giorgieness uscito lo scorso 28 ottobre per Sound To Be.
Giorgia D’Eraclea, voce e penna del progetto, ha realizzato un album decisamente più maturo, ricercato, meno arrabbiato e sempre più consapevole. Un lavoro dove i brani raccontano di amore in tutte le sue forme, ma anche di dolore e di prepotente rinascita.
«Ho scritto questo disco in un momento di quiete, in un modo molto differente dai precedenti», racconta Giorgieness. «Oggi sento di poter dire di aver composto le canzoni che avevo bisogno anzitutto di ascoltare, oltre che di scrivere»
In un potpourri di emozioni diverse, ma accomunate dalla stessa intensità, Mostri ci regala uno spaccato di riflessioni dolci-amare, capitanato da quell’interrogativo iniziale.
Si parte dall’amore di – e per – un uomo come “unica droga che calma” (Hollywoo) e si prosegue con il cuore tenuto fra le mani mentre esplode, nel Giardino del torto dove il veleno di quella stessa droga ha iniziato a circolare nel corpo di chi ama e canta, riempendolo di attese future che però guardano ancora al passato.
A chi fa luce questa luce che mi porto dentro?
Fare luce, illuminare, significa di fatto esprimersi, creare. Se ci pensiamo, sono proprio questi verbi a definire il verbo più grande e fondamentale di tutti: vivere.
Una vita in cui siamo ancora mostri gli uni per gli altri, “siamo rivali, perché siamo soli e siamo uguali” (Mostri). Ed è una rivalità che sembra poi tradursi nell’incapacità di capirsi e di comprendersi, cantata in Maledetta.
Noi non ci si capisce mai per intero / Siamo il viaggio più lungo del mondo / Qui per caso sullo stesso treno
Ecco che a soccorrere quest’impasse arriva Supereroi, una delle tracce a mio avviso meglio riuscite di tutto il disco. Dove, ancora una volta, love is the answer.
Amore mio, cosa importa se ci ho messo una vita ad arrivare a te?
L’amore è infatti quel porto dove si arriva proprio dopo aver vissuto le esperienze più “mostruose” e formative cui la vita stessa ci ha sottoposto. E l’amore è tanto più vero ed intenso quanto più quelle esperienze ci hanno fatto male e ci hanno insegnato. Quanto più ci hanno spinto, insomma, a continuare a vivere, illuminare, esprimerci e creare.
La creazione, tuttavia, non è mai una semplice ripetizione. Ogni amore che concorre alla vita è allora diverso da quello che c’era prima e da quello che ci sarà poi.
Anima in piena, la traccia più indelebile dell’album, ce lo ricorda. Perché, anche quando l’amore finisce, l’amore non finisce mai veramente. Sembra un’affermazione decisamente ossimorica, ma il ritornello del brano contiene tutto quello che avremo voluto gridare mille volte ai ricordi migliori delle nostre storie, ormai giunte al capolinea.
Questa non è una supplica / Questa non è una bandiera di resa / E per un attimo scordiamoci i nomi che tanto non servono / È un nuovo battesimo / Le mie gambe tremano
Di soli ricordi, tuttavia, non si vive. Bisogna poi cercare nuove albe, belle “come la mia faccia che risplende di stanchezza” (Gilda). Proprio in Gilda si parla essenzialmente di tutti quegli esami di coscienza e di tutte quelle colpe che esauriscono un rapporto già finito.
La faccia ambivalente del ricordo è infatti il rimuginio che a volte – per non dire spesso – ne deriva, mandando poi alla deriva lo stesso ricordo e la sua intrinseca bellezza. Attribuire a sé la colpa, come canta Rita Hayworth nell’omonimo film Gilda, può essere l’atto di coraggio che manca al nostro desiderio di assoluzione, insegnatoci da un mondo troppo preso dalla perfezione per ammettere le scorrettezze e gli sbagli dei nostri Mostri interiori.
La colpa da auto-attribuirci può fornire allora – e finalmente – un freno definitivo al nostro rimuginare. Ma attenzione: non al nostro vivere futuribile, che di nuovo futuro si nutre.
Per ripartire e ingranare la marcia giusta, arrivano le Cose piccole a rendere migliore ogni ora, ogni minuto e ogni secondo della nostra esistenza: l’odore di mamma sui vestiti, la salute di chi ci sta accanto e la voce che esplode ed esprime.
Lo so che sarò sempre triste quando fuori non c’è luce / Quando tu devi partire, quando non so cosa dire / Ma ora so che anche questo essere diversa / È un punto a mio favore, è un punto di partenza
Solo questo ci permette di prendere per mano ciò che è Successo e di guardarlo sotto una luce nuova. Perché, in fondo, “non farà male un po’ di dolore”. Aver male, provare dolore per qualche tempo, è normale. Ma stare male, sostare su quel dolore e trasformarlo in sofferenza, è una scelta. La scelta di Giorgieness è invece opposta e salvifica: cantare i propri Mostri per ritrovare la libertà di creare e vivere.
Ecco allora che Tempesta si configura di fatto come il nuovo battesimo già promesso da Anima in piena: “sono quella che mi va, chiamami tempesta”. Una canzone che ci catapulta direttamente verso l’ultimo brano, Quello che vi lascio.
Prego il tempo perché corra forte così sarò vecchia e lo saprò per certo / Se, se avrò perso
Perdere: un altro verbo che definisce la nostra vita. Ma, in questo disco, Giorgieness ci insegna a fare pace con la perdita. Una pace necessaria per avanzare ancora, avanzando nel piatto tutto quello che con noi non possiamo più portare: quei Mostri che però avevamo bisogno di ascoltare.
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Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.