GiusiPre: “Canzoni indigeste” per un’umanità rinnovata
Il nuovo DPCM del premier Conte prevede festini domestici per non più di 6 persone. Ascoltare l’esordio discografico di GiusiPre significa sedersi a tavola con lei e altri 3 ospiti inattesi, per un totale di 5 convitati: un numero perfettamente in linea con le disposizioni vigenti. Questi 3 ospiti, tuttavia, sapranno rendere il nostro pasto più scomodo di quanto ci aspetteremmo. Non fraintendetemi, Canzoni indigeste (uscito lo scorso 15 ottobre) è un EP potente e godibilissimo. I testi affilati delle sue tracce, però, non si limitano ad auspicare l’ascolto di un fruitore passivo. Sembrano invece cercare l’attività incessante di una mente che pensa e che crea i propri immaginari, partendo dalla realtà e dalle domande che essa suggerisce.
Ecco allora facilmente svelate le identità dei nostri 3 commensali, le cui ombre (o luci che dir si voglia) permeano l’intero disco, trasformandolo in un pensatoio frizzante e per certi versi, come detto poc’anzi, scomodo. Si tratta di tre filosofi, la categoria umana più indigesta di tutte: Feuerbach, Camus e Leibniz. Nel raccontarne le suggestioni, la voce di GiusiPre (al secolo Giuseppina Prejano) si rivela un vento. Un vero e proprio concentrato di levità e forza che rimanda un po’ a Blondie e un po’ a Levante.
Come fa il vento, che modella l’elettricità dei nostri capelli quando siamo sovraesposti alle sue raffiche, così le canzoni di questo EP ci restano addosso, fisicamente.
Il Caos contemporaneo che ci circonda si rispecchia in atmosfere rock/pop a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta: sembra quasi di entrare nel mondo sempreverde di Alice canta Battiato. E il modus operandi del Maestro incide anche sulla squisita elevatezza delle liriche, meno nonsense ma senz’altro pregne della stessa velleità filosofica.
“La filosofia è un interesse che mi accompagna da sempre” mi ha raccontato Giuseppina, “e ho cercato di consolidarlo negli studi e nella vita professionale. Ad un certo punto le influenze filosofiche hanno finito per invadere anche la sfera artistica e si sono riversate con prepotenza nei testi. Devo ammettere che in questo modo i temi che mi hanno accompagnata nella ricerca e nel percorso esistenziale hanno un altro appeal. Sembrano più alla portata e questo li rende a mio avviso più condivisibili, pur mantenendo la loro complessità”
Da questo punto di vista, allora, tre canzoni mi sono sembrate particolarmente significative.
Leibniz (che al liceo confondevo sempre con l’omonima marca di biscotti) diceva che l’universo è formato da monadi: entità concluse, indipendenti ma anche interdipendenti, il che sembra quasi un paradosso. Nella canzone di GiusiPre che prende il nome da questa teoria (Monade), colpisce molto l’immagine di una “quarantena mentale”, che sbarra la porta a discorsi e confronti.
Le monadi, alla fine, siamo proprio noi, ottusi e arroganti, spesso arroccati sui nostri giudizi e incapaci di aprirci agli altri veramente, al di là dei nostri schemi e dei nostri schermi.
“Sì, quando scrivevo Monade mi riferivo principalmente alle vicende e alla comunicazione sui social” mi ha confermato, “dove il livello di chiusura mentale e di autoreferenzialità è, purtroppo per noi, altissimo. Rischiamo di non avere più la possibilità di un confronto sano, di un dialogo proficuo. Questo mi atterrisce fortemente. Dovremmo davvero aprirci e bucare la bolla per evitare la polarizzazione della società”
È invece di Feuerbach l’aforisma fra i più gettonati nella storia della filosofia. “L’uomo è ciò che mangia”, titolo anche della quarta traccia che compone questo disco: un fantastico incontro, che diventa marcia, fra prog e britpop.
Viene spontaneo chiedersi, allora, se si mangi per gustare (quindi per vivere) oppure per sfamarsi (cioè per sopravvivere).
L’ho domandato alla diretta interessata, che è riuscita a risolvere l’antitesi.
“Si mangia per sopravvivere e di conseguenza per vivere” mi ha detto, “infatti, nell’idea di Feuerbach, soddisfare il bisogno apre alla coscienza e permette di cogliere la complessità del nutrimento. Tutto questo va oltre la sfera biologica e investe anche l’essenza propriamente umana. Quel che mi piace di questa prospettiva è l’aver rotto la retorica della superiorità spirituale dell’essere umano. Averlo ricondotto alla complessità della sua natura, senza idealizzarlo. A mio avviso, avere il coraggio di biasimare la cultura dominante ha aperto altri ambiti di ricerca. Un passaggio rischioso ma necessario, un rischio che culturalmente dovremmo correre più spesso anche noi”
Una cultura dominante che è ben descritta, letterariamente, dal libro più ricordato di Camus: Sisifo, traccia con cui si chiude l’EP.
Rifacendosi all’omonimo mito greco, il filosofo francese raccontò la drammatica ripetitività del nostro quotidiano, incarnata nella vicenda di un uomo condannato a reiterare la sua azione giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. Un macigno che scivola dalla montagna per poi dover essere riportato in cima e scivolare giù di nuovo.
“Ho considerato il mito di Sisifo nella lettura che ne dà Albert Camus” mi ha confidato Giuseppina, “e lui conclude il suo saggio immaginando Sisifo felice. Nel ripetersi dell’assurdo, l’inquietudine e la sofferenza sono innegabili. Ma poi la consapevolezza e l’abbraccio di questa assurdità spinge all’accettazione e anche all’azione. Ora, non voglio entrare nel merito della filosofia esistenziale di Camus. Ma condivido lo spirito che la contraddistingue e l’idea che accettare l’assurdo sia un modo per non cedere alla disperazione. Un modo per ribellarsi alla mancanza di senso e concedersi finalmente all’intensità della vita. Quindi ben venga tutto ciò che ci anima, che contrasta con la mera ripetizione e che ci emancipa e libera dall’abbrutimento e dalla sofferenza”
Per esempio, un bellissimo EP d’esordio che contiene “canzoni indigeste” ma necessarie.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.