Uno dei ritorni più attesi nel panorama musicale italiano (e non solo) è stato senza dubbio quello dei Nu Genea. Il duo napoletano, a distanza di quattro anni da Nuova Napoli, torna sulla scena con il nuovo album, Bar Mediterraneo, uscito lo scorso 13 maggio per Carosello Records.
Mantenere alti gli standard delle precedenti produzioni non era semplice. I Nu Genea ci sono riusciti alla grande, pubblicando un disco meraviglioso che ben testimonia l’alto livello dei loro lavori.
Questa volta la band napoletana composta da Massimo Di Lena e Lucio Aquilina ci regala un’immagine più internazionale di Napoli, ponendo l’accento sull’accoglienza e sul mix di culture che caratterizzano il Mediterraneo e la città partenopea. In Bar Mediterraneo, infatti, sentiamo versi in tunisino, in francese e in dialetto napoletano. Nel brano Gelbi, ad esempio, Marzouk Mejiri canta in tunisino e suona il flauto Ney; in Marechià, il brano che ha anticipato l’uscita del disco e che è stata una delle canzoni più ascoltate della scorsa estate, Cèlia Kameni canta in francese e napoletano; altri invece sono cantati in dialetto napoletano da Fabiana Martone (la cui voce abbiamo già incontrato in Nuova Napoli) e dal siracusano Marco Castello.
L’album si apre con Bar Mediterraneo, il singolo che da il nome al disco: si tratta di un pezzo strumentale, funk e un po’ retrò, che è il manifesto dell’album; ci proietta subito nell’atmosfera mediterranea, estiva e solare dell’album, un pezzo perfetto per un tramonto al mare.
Si continua con Tienatè, altro pezzo che insieme a Marechià ha anticipato l’uscita del disco. Il testo fa riferimento a qualcosa che viene dato e non restituito, il tutto cantato in napoletano:
“Pur’aié, pur’aié, pur’aié/ Pur’aié, pur’aié, pur’aié/ Pur aier diciv diman/ Ma diman diman è passat/ È passat ma mò t’e scurdat/ T’e scurdat pur n’ata vot/ L’ata vot n’te fatt verè/ N’ata vot n’te fatt truvà/ N’ata vot n’te fatt verè/ Ma diman però me l’ha rà”.
Il brano è cantato da Fabiana Martone, che oltre ad essere la voce di Tienatè è anche quella de La Crisi.
Il testo de La Crisi è tratto da una poesia del 1931 di Raffaele Viviani, attore, compositore e poeta napoletano. D’altronde non è la prima volta che i Nu Genea trasformano un testo di una poesia in una canzone: ciò è avvenuto anche con Je Vulesse, la poesia di Eduardo De Filippo che il duo partenopeo ha trasformato in canzone contenuta in Nuova Napoli. Le parole de La Crisi, seppur scritte quasi un secolo fa, si adattano bene ai tempi di crisi economica che viviamo e rispecchiano le comuni preoccupazioni economiche delle famiglie.
“Dice o pate: – Ma addò jammo?/ Figlie mieie, ccà appena ascimmo/ limitate, addò accustammo/ so’ denare ca spennimmo. / Quatte passe, a riva’e mare,/si vulite, v’accuntento/ ma però a caccia’ denare,/ nun c’è cchiù divertimento.”
Infine, altro pezzo degno di nota è sicuramente Straniero, la cui batteria è stata registrata da Tony Allen prima della sua scomparsa.
Tra i vicoli ferventi del centro storico, seduti a un tavolinetto fuori il “Bar Mediterraneo” dei Nu Genea è possibile osservare una Napoli internazionale. Una musica danzante echeggia per le viuzze, arriva dal passato come dal presente, da Tunisi, dal sud della Francia come dal paesello dei nostri nonni; un coagulo di culture diverse, un filo dei panni steso come un ponte a collegare i suoni di popoli lontani eppure così vicini. Nessuno, in questo momento, sta raccontando come i Nu Genea la città partenopea, cogliendone lo spirto, il respiro profondo e le sonorità ancestrali intessute nelle trame del suo DNA.