“Horizontal Rain”: l’inno di Lanzetti (ex PFM) al viaggio come meta
Ho ascoltato per la prima volta Horizontal Rain di Bernardo Lanzetti (ex PFM ma, come leggerete fra poco, non solo) mentre mi recavo al lavoro con la macchina. Non pioveva quella mattina, però era molto facile immaginarsi avvolti da un’atmosfera malinconica, a tratti violenta e a tratti più dolce. Quella di una pioggia orizzontale, che batte sul parabrezza di giornate grigie nel bel mezzo di una primavera ancora incerta.
Di certo incerta non è – e scusate il gioco di parole – la lunga e blasonata carriera di Lanzetti, autore e compositore nato a Casalmaggiore nel 1948 e laureatosi in chimica nel 1971.
Una buona dose di chimica, a tratti alchemica, non manca nei suoi lavori. A partire dal rock progressivo degli Acqua Fragile, suo primo gruppo, fino ad arrivare a quest’ultimo lavoro, Horizontal Rain. Un disco che riassume in sé l’eclettica abilità, propria di Lanzetti, di padroneggiare inglese e italiano – non a caso la laurea in chimica l’ha conseguita negli Stati Uniti. Ma anche quella di trasformare il rock puro delle sue canzoni in una corale polifonica di straordinario impatto, uditivo ed emozionale.
I primi secondi di chitarra elettrica che sentiamo in Walk Away preparano letteralmente il motore a questo viaggio, mentre il contagiri inizia ad inanellare numeri impressionanti: 9 brani, di cui 8 in inglese. 19 musicisti spalleggiati da 7 elementi (il coro della Compagnia Teatrale O.L.B.C. di Foligno) e tutta l’estensione vocale dell’artista, che supera di gran lunga le 3 ottave. Infine, 8 sono pure i tecnici del suono che hanno registrato, mixato e masterizzato il tutto, coordinati dal produttore Dario Mazzoli. Proprio Mazzoli racconta l’esperienza del suo primo concerto, appena quindicenne. Non è un caso che su quel palco, al Palalido di Milano nel 1976, ci fosse la PFM guidata da Lanzetti.
Nemmeno il tempo di pensare a tutto questo che le chitarre e i violini struggenti di Walk Away cedono il passo ad Heck Jack, il cui ritmo rock&blues è benzina pura.
Proprio su queste note però il mio serbatoio si accorge, con un certo contro-tempismo, di essere vuoto. La tappa al distributore è allora Lanzhaiku, dove la pompa di benzina prende gradatamente le forme del sax baritono, a sostituire in questo brano i suoni di un soltanto ipotetico contrabbasso. Man mano che le tacche risalgono, avanzano anche le note e il minutaggio del pezzo, con l’armonia avvolgente di coro e flauti a rimettermi in moto.
Il tempo è denaro, occorre andare.
Ma Time is king anche, il tempo è un re: ce lo ricorda Lanzetti, la cui voce è davvero l’unica, toccante, protagonista di questo pezzo. All’attacco iberico di Genial!, il piede preme sull’acceleratore, mentre il successivo riff di chitarra sembra quasi lisciare le gomme sull’asfalto. Al semaforo ci aspetta Conventional, uno stop obbligato che ci spinge a riflettere su ciò che finora abbiamo ascoltato, nel tempio intimista e solenne dell’abitacolo. Si riparte con Ero un num ero, unico brano in italiano, capace dopo Conventional di trasformare le riflessioni maturate in acuti giochi di parole, talvolta anche ingannevoli, come il titolo stesso suggerisce perfettamente.
Ma ecco che a portarci lontano dalle illusioni ci pensa proprio la title track del disco.
Con Horizontal Rain, infatti, le chitarre potenti vanno ad indicarci un traguardo sempre più vicino. È laggiù: il parcheggio, un piazzale arioso come il finale corale del disco, Different, dove le tastiere la fanno da protagonista. Si delinea qui la giusta tensione, anche carica di stimoli, che caratterizza una giornata lavorativa al suo inizio.
Quella del viaggio, in Horizontal Rain, non è soltanto una metafora né la semplice condizione di ascolto in cui questo disco mi ha sorpreso. Nel lavoro di Lanzetti c’è tutta la quotidianità di un pendolare, di una musica che descrive e qualifica ciò che viviamo, ovunque ci troviamo. Ed è forse proprio questa la forza dell’album, come anche di tutto il rock progressivo, se ci pensiamo. La forza di poter segnare una via, come gli omini di pietre e sassi sui sentieri di montagna, lasciando però a chi ascolta la libertà di farla propria, intraprenderla, amarla, odiarla, cambiarne le molteplici deviazioni. Riscoprirsi sempre nuovi, insomma, e mai terminati. Horizontal Rain è un inno al viaggio come meta. E viceversa.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.