I Giocattoli sono una delle nuove rivelazioni dello scenario indie italiano. La loro musica, muovendosi dall’universo palermitano, sta di fatto conquistando l’Italia intera. Con leggerezza, semplicità e profondità, la loro dimensione artistico-ludica e le delicate narrazioni del quotidiano vengono unite in un unico ammaliante intreccio. Dal 20 Aprile è possibile ascoltare il loro album d’esordio “Machepretendi” (Giungla Dischi).
La prima volta in cui mi sono imbattuta nella band palermitana I Giocattoli, è stato per puro caso. Spotify, con il suo potere algoritmico, mi aveva condotta direttamente tra le braccia di “Bill Murray”, una delle loro tracce più celebri.
Inutile dirlo: mi è bastato ascoltare le parole magiche Xavier Dolan e serate al sushi bar per destarmi dal sonno della ragione e fare ricerche su di loro. Questo istinto, a tratti pavloviano, verso gli elementi della pop culture contemporanea mi ha trasportata in un universo soffuso, composto da piccole scene di vita quotidiana e delicati immaginari surreali: la lieve poetica de I Giocattoli.
Tali ipnotiche sensazioni convergono naturalmente in “Machepretendi”: l’album d’esordio della band uscito questo 20 Aprile per Giungla Dischi, grazie alla produzione di Carota de Lo Stato Sociale e di Hyppo dei KEATON. Nove tracce che fluttuano nella nostra immaginazione. Tra queste, ritroviamo gli amati singoli “Ailoviù”, “Astronauta” e “Bill Murray”, nuovi brani e una meravigliosa cover di “Verde” dei Diaframma. In conclusione, il live de “Il ragno”.
“Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore.” Per comprendere nel profondo in che modo l’opera di questi giovani ragazzi siciliani abbia conquistato centinaia di persone in tutta Italia, scomoderemo ancora una volta Italo Calvino. Nelle sue celebri “Lezioni americane”, lo scrittore italiano aveva difatti posto la leggerezza come il primo valore da sostenere per il futuro delle nuove generazioni.
Planare sulla superficie delle cose dall’alto non significa dunque svuotarle di senso, demistificarle. Al contrario, vuol dire lasciarsi la libertà di spiccare il volo. Come “L’aquilone” che volteggia sospinto dalla voce di Chiara di Trapani, “Il ragno” che fluttua piccolissimo sulla sua tela per raggiungere il cuore dell’amata o il nostro “Astronauta” preferito che tra una radio e l’altra si toglie il casco e ci porta con sé su un altro pianeta.
Calvinianamente, la grande operazione alla base di questa poetica appare essere una vera e propria “sottrazione di peso. Ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città, soprattutto alla struttura del racconto e del linguaggio.”
Per la nostra generazione, che appare nata con un enorme peso sul cuore, non è semplice sottrarsi alla gravità. Tutto ciò che ci circonda sembra volerci far aderire al suolo. Imprigionando la nostra immaginazione e la nostra capacità di ripensarci in modo nuovo. Non sappiamo più giocare con noi stessi.
Abbiamo allora forse ancora qualcosa da pretendere, per sfuggire da questa monotonia, per farci salvare da Bill Murray e scappare in un’altra fantasia, in un’altra routine. Perché I Giocattoli hanno ragione, non ci è forse dato un modo per fuggire definitivamente dalla brutale banalità del quotidiano. Noi non fuggiremo mai, ma possiamo cambiare le regole del nostro gioco. Sperimentando, reinventandoci, rendendo il nostro presente una favola.
“Raccontiamo favole del nostro presente.
Perché la vita non è mai entusiasmante.
Avrei amato dipingere con Modigliani.
Vedere Frida e toccare le sue mani.
Ma questa vita non appartiene a noi,
Che siamo sempre così banali.”
Ascolta qui “Machetiprendi”, l’album d’esordio de i Giocattoli
© Illustrazione di Chiara Zaccagnino