I Massimo Volume e Il Nuotatore: una lenta traversata verso il Vuoto
Dopo sei anni di silenzio, è in uscito per 42 Records il nuovo album dei Massimo Volume, Il Nuotatore. Il disco è stato pensato e creato, per la prima volta, dal nucleo storico della band: Emidio Clementi, Egle Sommacal e Vittoria Burattini. La notizia arriva a noi ascoltatori con poche ed essenziali parole e il riferimento al racconto di John Cheever. Il maestro americano delle short stories spesso ingiustamente confinato in una nicchia, mette in agitazione le nostre zone d’ombra, consapevoli di essere esposti a un’imminente metamorfosi.
Il fiume occulto di John Cheever
Ai bordi della piscina dei Westerhazy, in una domenica mattina di mezza estate rallentata dal vino bevuto la sera prima, Neddy Merrill osserva l’acqua verdastra immergendoci la mano, mentre con l’altra stringe un bicchiere di gin. Si tuffa, nuota, gode della giornata estiva e della sua esistenza tutta, che sembra non possa in nessun modo subire incrinazioni o fratture. Forte della pienezza del suo piacere, il suo sguardo cessa di osservare il già noto. Si muove verso altri luoghi, spazi sotterranei e inesplorati, che conducono alla scoperta sbalorditiva dell’esistenza di un fiume nascosto fatto di piscine. Il fiume collega tutta la contea e può condurlo a casa a nuoto.
Inizia, dunque, l’epopea del moderno Ulisse, divertito e felice sotto il sole, calorosamente accolto dai primi vicini che incontra sulle sponde del fiume Lucinda, intatto e solido nella sua individualità. Sembra incarnare l’ideale americano, poi universalizzato, dell’uomo di successo. Un individuo materialmente e spiritualmente soddisfatto, lontano dalle brutture della Storia e dall’instabilità del nostro tempo. La linearità, però, è un’illusione. Il sole comincia a calare, la traversata diviene difficile e sfiancante, i vicini si fanno progressivamente più ostili. Ned, confuso e perplesso, assiste a un processo di deterioramento di cui non comprende o non ricorda l’origine. Il racconto, allora, comincia a trasformarsi in un incubo metafisico, in uno specchio attraverso cui riusciamo a intravedere la nostra personale caducità.
Ascolta qui Il Nuotatore, nuovo album dei Massimo Volume
Il disco, alla stregua del racconto di John Cheever, è una disamina attenta e dolorosa sulla precarietà e sui vuoti su cui ci sporgiamo ogni giorno e che il Tempo, con il suo incedere omicida, rivela e scopre nella loro nudità. I nostri monologhi si trasformano così in luridi solipsismi. I giorni andati sono cadaveri sul calendario, da cui si sprigiona e si propaga per la casa il tanfo del nostro fallimento. Non c’è nessuna finestra da aprire né c’è una possibilità reale di fuga. Il ritmo ossessivo e cupo delle chitarre s’insinua delle nostre piaghe, quelle cancrenose, e lo spoken word inimitabile e così profondamente identitario di Emidio Clementi osserva la realtà e la racconta nella sua crudezza, ma anche nella sua casualità e poesia.
Si rivolge, ad esempio, a Fred, un amico che – immaginiamo – abbia operato una modifica sostanziale della sua quotidianità in seguito a una malattia o per prevenirla. Costruisce un racconto in due movimenti, divisi anche dalla musica. Uno esplicativo e un altro, che fa tornare alla mente i Codeine e il meglio dello slowcore anni ’90, più lirico e individualista per potersi aggrappare, riprendersi e descriversi.
io sono il corpo / io sono un ponte… io sono una maschera / io sono la serpe che muta la pelle.
Il Nuotatore, anche a un ascolto profano e incompetente come il mio, ricorda che i Massimo Volume hanno saputo costruirsi un’identità unica e riconoscibile. Si ritrovano le influenze “post” (Slint, Rodan), noise e le cui chitarre hanno appreso perfettamente la lezione dei maestri tedeschi, ma che non è comparabile o rintracciabile altrove.
La dialettica del presente
Ho ascoltato per la prima volta il disco di mattina presto, passeggiando in strada, mentre gli avvolgibili meccanici si srotolano lentamente e le persone nascoste nelle case si preparano ad affrontare tutto ciò che gli esiste contro. Gli strumenti entrano maestosi e comincia il lungo racconto di Emidio Clementi. Il mio sguardo si posa sulle case e ne ricerca le crepe. Rifletto sugli artifici e sulle maschere che il linguaggio ci consente di apporre sulle cose, per lasciarle su una superficie che possiamo controllare e manipolare. Così osservo il macellaio, l’impiegato, lo studente e lascio che fluiscano lungo i marciapiedi e mi attraversino senza vedermi. Immagino che ogni individuo, con queste operazioni astratte, cerchi di appropriarsi della grammatica del presente, fatta di riduzione dell’Altro a categorie semplici e ostili, di superficialità nei rapporti, di individualismi estremi e narcisistici.
La chitarra cruda e dolorosa di Egle Sommacal in La ditta di acqua minerale distrugge e scarnifica. Mi ricorda che siamo tutti soggetti allo stesso dramma e potremmo trovarci a nuotare in piscine vuote o in piscine di miserie. Nonostante l’ordine psico-sociale ci imponga di avere il culo profumato – come recita in Mia Madre – per riconoscerci più umani e nobili anche nelle catastrofi, la vanità è uno dei tanti idola fori del nostro tempo, disseminato di specchi astratti e terribili. Il Nuotatore racconta una storia universale, quella della precarietà di ogni cosa e della dissoluzione del sogno occidentale. La retorica del “diventare qualcuno” si è prontamente mutata nel dolore di non riuscire ad essere, di restare individui monchi e inadatti alle richieste del mondo contemporaneo, poiché non è mai stata costruita una retorica positiva del fallimento.
Sulla consapevolezza
Questo disco racconta le ossessioni quotidiane, la sofferenza di essere degli Arturo Bandini che lottano contro i granchi e che sono lacerati dai propri fallimenti, dal proprio corpo che invecchia. Ma è anche un disco sulla consapevolezza che non siamo monolitici, che non possiamo illuderci di poter dare un’immagine lineare di ciò che siamo. Possiamo, invece, abbracciare l’incoerenza poiché soltanto così si ammette la possibilità della purezza.
Una recensione di Amalia Ranieri
La Redazione
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