Ibisco plasma “Languore”, per combattere il logorìo del tempo
Lo puoi percepire con maggiore o minore intensità, provarlo a scandire con più modi e unità di misura, ma resta impossibile arrestarne il feroce flusso. Il tempo è demone, e lo ribadisce in molteplici forme.
Il tempo è un concetto centrale nel nuovo album di Ibisco.
Filippo Giglio non conosce pausa. A poco più di un anno di distanza da NOWHERE EMILIA (evoluto nella forma espansa DARKSIDE EMILIA) pubblica il suo secondo long play; come in precedenza, la label è V4V Records, su distribuzione Universal.
Una sensazione penosa di vuoto o di uno stato di prostrazione, atteggiamento o espressione di abbandono
In una parola: Languore, ossia il titolo attorno cui si stringono undici tracce (comprensive di un’intro e un’outro) architettate con dovizia mai scontata. Muri finemente decorati e cementificazioni lasciate a vista caratterizzano le stanze che l’ascoltatore si trova ad attraversare. Dai (non) luoghi della regione d’appartenenza, questa volta sono le sensazioni e le suggestioni della triade passato-presente-futuro a spingere le pulsioni creative.
Il versante strumentale è un’armatura che approccia in modo analogico tanto l’elettronica quanto le chitarre e tutto quello che si suona; la coproduzione affidata nuovamente a Marco Bertoni incanala sui giusti binari il magma dell’artista emiliano, che può percorrere a tutta velocità la tratta che punta ai timpani del fruitore.
Un treno di suggestioni emotive, di parole che si radicano nel presente senza l’inflazionata necessità di spargere riferimenti e keywords quanto basta a ricordarci che è il 2023; versi gintonici, per un songwriting dove la lingua italiana si piega alle esigenze del pentagramma. Uno dei punti di forza di Ibisco sta nella sua vocalità, bella ed estetica nei ricami lisergici, pienamente a fuoco nel cantare (nel senso più letterale del termine) questi tempi e le vive scarnificazioni che continuano a lasciare.
Tra apparati rock e nubi dark/coldwave, “Languore” si inerpica in territori poco battuti a queste latitudini; sono strade imboccate già dall’esordio ma che ora assumono tratti ancor più tortuosi.
Nel mentre, il disco vince anche una sfida: quella di restare squisitamente pop, di impattare a presa rapida la testa e la pancia altrui senza perdersi in soluzioni espressive elementari.
C’è cassa dritta, salmodia, ritornelli aperti, parole da respirare a pieni polmoni e sussurri tormentati.
Give your love somebody will love
Lontano dai cromatismi rigorosi della prima volta, l’artwork realizzato da Giovanni Bonassi diventa emblema di cosa spinge questo album a edificarsi uno spazio di rilievo nei quartieri alti delle nostre playlist: è uno sguardo che irrompe sui colori e sulle forme cangianti di un momentum ingrigito da storture ben note a tutti.
Ibisco, i suoi pensieri e la sua voce sono un atto performativo e ideologico, adeso ai suoi maestri ma lucido e deciso nel camminare verso la propria, personalissima direzione.
In questa visione, “Languore” è il disco giusto al momento più opportuno: forte, smanioso di spingere e di correre a mille ma comunque ponderato, che emana la luce della ragione. Dallo zero spaccato dell’intro si procede verso l’infinito dell’outro, perché nulla giunge davvero a compimento quando di mezzo c’è quel demone del tempo.
È come sentirsi appagati ma con un senso di vuoto che emerge da dentro. Languore, appunto: piace, e non si può prescindere da una certa sensazione di dolore che è una squisita costante.
I ricordi si suggeriscono incapaci di disambiguare il loro non poter rivivere, quasi quel tempo spingesse con solerzia in più direzioni, eppure il presente lo avverto troppo spesso sotto le ombre della sua rarefazione. In questa assenza di finitezza, di misura, risiede il mio languore.