Se se stai leggendo questo articolo solo per sapere se è vero che questo sarà l’ultimo disco di Achille Lauro la risposta è SÌ!
Ora ti conviene andare a scrollare altrove, perché in questo articolo non troverai indiscrezioni. Troverai qualcosa di molto più sensazionale: la verità, quella di Achille Lauro.
Quando ho ascoltato Achille Lauro parlare a noi figli di Ponzio Pilato, i giornalisti, di questo suo ultimo lavoro, mi ha colpita la sua premura nel prenderci per mano e condurci attraverso le sfumature accompagnandoci nel suo immaginario dionisiaco, ma anche nell’apollineo del suo lavoro, non dimenticando nessuna delle piume che compongono le sue ali: le maestranze che mettono in scena la sua realtà.
Uno dei più grandi paradossi nella vita è che la verità è sempre la cosa più difficile da raccontare. Pertanto questo articolo sarà una sorta di sinestesia: potrai leggerlo ed ascoltarlo, non intendo dare la mia interpretazione, lascerò che sia Achille Lauro a dartela.
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A questo punto potrei non aggiungere altro: dovrei solo allegare il link per ascoltare il disco, perché le canzoni non si dovrebbero spiegare o giudicare, si dovrebbero solo cantare o suonare.
“Lauro” più che un disco sembra un jukebox di racconti.
È un lavoro dal sapore analogico, che guarda al passato con malinconia e al futuro come un grande sognatore, un viaggio in un tempo senza tempo scandito da variazioni musicali che spaziano dai suoni degli anni ’60 a quelli degli anni ’90. Un fil rouge tra la generazione degli anni 60 e la Generazione X, un’unica generazione che non crede nelle istituzioni e molte volte nemmeno in se stessa, finendo troppo spesso per non sapere chi vorrà essere.
Eppure nonostante questa chiave “corale”, Lauro è più che mai l’autobiografia di Achille Lauro, come da lui stesso affermato durante la conferenza stampa:
“Questo album rappresenta veramente me stesso […] sono riflessioni su di me, su chi sono, sull’amore, l’attrazione sessuale, tutto, qualunque cosa. 12 canzoni, 12 facce di me che hanno qualcosa da dire e cui tengo molto: vi chiedo di averne cura.”
Quante volte abbiamo sentito dire: “gli artisti non hanno più niente da dire?“.
Beh questo album ribalta questa visione e ci dà una risposta pregna di significato: anche quando gli artisti non avranno nulla da dire, l’arte continuerà a parlare attraverso di loro. “Lauro” infatti, nella versione Deluxe, è come una seduta di ipnosi regressiva dell’umanità attraverso le vite vissute nei panni della musica.
È come se i generi musicali piuttosto che incarnare gli impeti generazionali prendano carne e diventano paladini e martiri. È come se ci fosse un disco nel disco, il primo, quello con le canzoni, è da ballare o cantare; il secondo, è da ascoltare, ad occhi chiusi, come se i generi musicali ci raccontassero la loro storia come una favola della buonanotte: per farci sognare più forte.
Definirei il percorso musicale Achille Lauro fino a “Ragazzi madre” una crisalide, che attraverso la sofferenza muta per poi trasformarsi non solo nell’estetica ma anche nella sfrontata libertà: come una farfalla in cerca solo di colore e sapore nella vita. Achille Lauro è la tipica persona alla quale è difficile chiedere qualcosa che non risulti banale o volutamente provocatorio.
Per questo avendo la possibilità di porgli una sola domanda ho optato per questa:
La sua sensibilità cangiante è il vero punto di forza, la sua più grande stravaganza sta nel non voler superare le aspettative di nessuno perché Lauro è ciò che vuole essere: è Lauro.
Achille Lauro è sempre stato un outsider in tutto quello che ha fatto. Lui stesso durante la conferenza stampa ha affermato: “io ho fatto sempre tutto il contrario di quello che si aspettavano da me e dalla mia carriera“. Sarà per questo che all’apice del suo successo ha scelto di scrivere un disco che è il suo “De Profundis“? Non è importante dare una risposta a questa domanda quanto imparare da Lauro ad essere se stessi in centinaia di sé.
Il suo è un intimismo internazionale, se così si può dire, e per questo, nel lontano 2018, lo “usai” per un esperimento. Lo feci ascoltare in una foresta. Parte di quello che sono riuscita ad immortalare, dall’alto del “mio” elefante lo trovate qui: