Osservo la copertina di Gommapiuma – il nuovo album di Giorgio Poi, uscito per Bomba Dischi/Island Records lo scorso 3 dicembre – con un’attenzione del tutto particolare. L’ho già vista da qualche parte: l’ho già ascoltata nei miei sogni, o letta fra le righe dei miei libri. Nuvole: nient’altro che nuvole sparse sopra un cielo blu, indeciso se tingersi di cobalto o di tonalità più elettriche. Un cielo di un blu così particolare che potrebbe benissimo essere soltanto il riflesso di quelle stesse nuvole bianche. Come se fossero messe lì per risaltarne la lucentezza brillante, la purezza incontaminata. E per ricordarmi qualcosa, che non riesco ancora a decifrare.
Spendere così tante righe per parlare di una copertina – il cui artwork è stato realizzato da Gio Pastori – può essere considerata una perdita di tempo. Ma l’ultimo disco di Giorgio Poi mi ha stupito proprio per la capacità insita nelle sue canzoni di essere così profondamente legate alla loro componente più visiva e visuale. Dalle tasche cucite sugli accappatoi – con l’enigma della loro utilità – cantate in Rococò, fino allo scrutare indagatore sul fondo di un bicchiere appena finito di Bloody Mary.
É decisamente un’immagine nitida anche l’ombra sul muro con cui si apre I Pomeriggi – singolo che ha anticipato questo lavoro, insieme a Giorni Felici.
“C’è la mia ombra sul muro/ Sì, m’assomiglia, è la mia di sicuro / È il mio profilo migliore / Guardalo tu che se mi giro scompare / Sembra fatto di carta carbone, buio come un caffè”
Immagini nitide, ma che sembrano al contempo provenire da uno degli infiniti mondi paralleli che la nostra fantasia è in grado di creare.
Rifugi sicuri, per le nostre fragilità stanche e intorpidite dalle ferite del presente. Proprio la chitarra con cui Giorni Felici fa la sua comparsa suggerisce un viaggio onirico verso uno di questi mondi. Come se “sotto il letto” invece che i nostri personali mostri si rifugiassero i sogni che non abbiamo il coraggio di gridare alla realtà. Sogni che contribuiscono a rendere più veri proprio quei Giorni Felici che tanto desideriamo.
E d’un tratto, su queste note, riesco a ricordare perfettamente dove ho già visto la copertina del disco in questione. L’atmosfera che suggerisce perlomeno, se non il disegno vero e proprio. Ripesco dalla libreria di casa Il gabbiano Jonathan Livingston, con lo stesso stupore che mi accompagnava la prima volta, scoprendo fra le sue pagine i ricordi della vita di mia madre: foto, biglietti, cartoline. Non c’è libro migliore che possa custodire i nostri “giorni felici”, in fondo: la storia di Jonathan Livingston, un gabbiano che abbandona la massa dei suoi simili per imparare il volo come arte e gioia, non solamente come noiosa esecuzione di movimenti necessaria per procacciarsi il cibo.
L’avventura di Jonathan è un inno alla libertà dei sogni, cullato dalle profonde melodie del cielo. Un cielo del tutto simile a quello che Giorgio Poi ha racchiuso nel suo album, copertina compresa.
Le note di questo disco, infatti, ci accompagnano a scoprire la quotidianità attraverso nuove immagini, per concederci ancora quell’incanto che forse avevamo perduto in mezzo allo Smog – in un curioso gioco di parole con il precedente album di Giorgio. Come Jonathan impara il volo al di là degli schemi dettati dalla necessità, così queste canzoni ci indicano un vivere al di là delle barriere presenti. E ci accompagnano a scoprirla, questa nuova vita, guidati da un’istanza di libertà lucida, sincera e decisamente morbida.
Jonathan torna poi nel branco, per testimoniare la nuova leggerezza che ha scoperto ai “passi pesanti dei vicini scalzi”, come canta Giorgio in Barzellette. Ed infine sparisce, dentro l’orizzonte di quel cielo blu che ha imparato ad amare più di ogni tristezza. Un cielo di Gommapiuma, in grado di attutire le botte e assorbire gli errori. In una parola: proteggere. Perché dentro un mondo in caduta libera, come quello in cui stiamo vivendo da due anni a questa parte, imparare la morbidezza del volo è il gesto di cura più forte e generoso che esista.
In copertina: Giorgio Poi fotografato da Guido Domenichelli
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.