In viaggio con i rovere “dalla terra a marte” per riscoprire le nostre fragilità
Il 18 febbraio è uscito “dalla terra a marte” (Epic /Sony music), il secondo disco dei rovere, band bolognese composta da Nelson Venceslai (voce), Luca Lambertini (chitarra), Lorenzo Stivani (tastiere), Davide Franceschelli (basso) e Marco Paganelli (batteria).
Sembra paradossale che un viaggio così ambizioso, che dalla Terra porta a una meta così lontana, abbia avuto inizio proprio nell’anno dell’immobilità; quel 2020 che ci ha condannati a quella sensazione di stasi perenne che ancora non riusciamo ad abbandonare del tutto. Eppure, come raccontano i rovere, è proprio da questo impedimento che è nata la decisione di partire per questo strano viaggio:
“Noi, in un periodo in cui viaggiare era un desiderio impossibile, abbiamo deciso di partire con la musica e di arrivare fino a Marte. E, come tutti i viaggi fatti per capire chi si è, siamo tornati indietro più confusi di prima”.
Gran parte dei brani sono stati, infatti, scritti e composti durante il periodo di lockdown. Poi sono stati rivisitati e modificati quando i ragazzi si sono ritrovati di nuovo tutti insieme in studio. Ma questo, più che uno svantaggio, è stato, per ciascuno dei componenti della band, un modo per dare sfogo ad aspetti ancora inesplorati del proprio io e della propria arte.
“dalla terra a marte” è un progetto ambizioso e complesso, non solo per le circostanze in cui è nato, ma anche per l’idea che ne sta alla base.
Infatti, se la scelta di rappresentare un viaggio non è nuova – del resto, ogni album è sempre un viaggio, sia per chi lo fa, sia per chi lo ascolta – a fare la differenza, in questo caso, è proprio il senso del viaggio che si vuole raccontare. Marte non è altro che una metafora e la meta vera sembra essere un’altra, apparentemente molto più vicina, ma in realtà infinitamente più lontana del pianeta rosso. La meta di questo viaggio siamo proprio noi.
“dalla terra a marte” è, infatti, un disco estremamente umano. Racconta con una sensibilità invidiabile molte delle nostre paure e dei nostri problemi, senza nessuna pretesa risolutiva, anzi, offrendo molte domande e poche risposte, come è giusto che sia.
In quattordici tracce, ciascuna corrispondente a una fermata del viaggio – come simboleggia anche la copertina dell’album – i rovere raccontano il rapporto con noi stessi e con gli altri, l’ansia di crescere, il desiderio di libertà, la necessità di sbagliare e, perché no, di precipitare.
I brani diventano, così, delle vere e proprie opportunità per riflettere su se stessi e porsi delle domande.
Per questa ragione, il consiglio che vi do per comprendere pienamente il senso di questo viaggio è di ascoltare le canzoni seguendo l’itinerario stabilito dai rovere, dalla prima all’ultima traccia, senza salti.
Il punto di partenza del viaggio è 3,2,1, major tom, un brano strumentale che funge da intro alla seconda traccia, astronauta, e che, per giunta, sin dal titolo, si pone come un chiaro riferimento all’astronauta di David Bowie, il Major Tom di Ashes to ashes e, soprattutto, di Space Oddity che, pur stando seduto in un “barattolo di latta”, si eleva al di sopra del mondo, per poi interrompere i contatti con esso.
Come hanno spiegato gli stessi rovere in conferenza stampa, la citazione, in realtà, è nata scrivendo l’ultimo brano, precipitare, e solo successivamente si è deciso di inserirla anche nel titolo della prima traccia, per dare al disco un andamento circolare. Per la band, infatti, l’immagine dell’astronauta che, pur rimanendo chiuso nella propria bolla, raggiunge mete lontane, è molto importante, in quanto vuole essere metafora, non solo di quella che è stata la condizione di ogni essere umano negli ultimi due anni, ma, anche e soprattutto, di quello che è stato il loro personale approccio alla musica e a questo album durante la pandemia: anche se “dalla terra a marte” è un disco che hanno realizzato stando lontani, ognuno nella propria casa, e, dunque, nella propria bolla, ciò non gli ha impedito di compiere questo viaggio insieme.
La traccia che mi è rimasta più impressa ascoltando l’album è, indubbiamente, “la libertà”. Infatti, ho subito immaginato di cantarla durante un concerto, urlando a squarciagola:
“Mi fa paura non sapere cosa sono, ma so che sono libero, libero come un uomo/ Liberi come un bambino che lancia una palla al di là della siepe/ Liberi sì come quei desideri che non vogliono aspettare le stelle comete/ Come chi vuole cantare quando la musica non suona più”.
In questo brano, in cui è più che riconoscibile il contributo di Riccardo Zanotti, ritroviamo quel perenne desiderio di libertà che da sempre abita in ognuno di noi e che gli ultimi due anni non hanno fatto altro che enfatizzare; il desiderio di sentirci liberi in un mondo non giudicante, liberi di “sbagliare e poi sbagliare ancora”.
Particolare attenzione va dedicata anche all’unico feat del disco, freddo cane, nato proprio grazie ai fan che, notando una grande somiglianza tra Nelson e Mameli, gli hanno proposto di collaborare (ce ne parlava qui Nelson). I due li hanno assecondati, dando vita a un brano intenso in cui il “freddo cane”, che ci circonda e che si fa metafora di ciò che viviamo, non riesce comunque a spegnere il nostro desiderio di reagire.
“Abbiamo ancora voglia di ballare, di confonderci con gli altri, non importa dove, in una discoteca o sulle scale. Ci portiamo dietro pure il cane”.
Interessante è anche la scelta fatta in “lupo” di guardare alla dimensione della fiaba da un’altra prospettiva; quella dell’antieroe, qui impersonato dal lupo di Cappuccetto rosso.
Tutti, infatti, sogniamo di essere i buoni della storia, ma nessuno lo è in assoluto, anzi, spesso, ci rendiamo conto di essere proprio il lupo. La soluzione a tutto ciò? Non fuggire da questo lato di noi, ma accettarlo. L’invito dei rovere, infatti, sembrerebbe quello di accettare la complessità della natura umana nei suoi aspetti più contraddittori, provando a trasformare anche le cose negative in qualcosa di positivo.
Non si può, poi, non citare la title track, dalla terra a marte. Raccontando il nostro costante tentativo di fuga dalle aspettative altrui e dal senso di vuoto e di vertigine che queste provocano, rappresenta, sicuramente, assieme a precipitare, il brano più introspettivo del disco.
In questo album, i rovere, con la loro musica, danno voce a una generazione – quella tra i venti e i trent’anni – che, ritrovandosi impegnata a prendere decisioni importanti per il proprio futuro, inizia a provare nostalgia verso i momenti spensierati del passato. bim bum bam, in particolare, seppur con tono ironico e giocoso, ci racconta questa nostalgia:
“Giocavi ad essere già grande, ed ora sogni di tornare là / I giorni dove ti importava solamente del sole e del suo riflesso nella tv sono andati ed ora ti ritrovi spesso a pensare che non torneranno più”.
L’ultima fermata di questo lungo viaggio è “precipitare”.
All’apparenza potrebbe sembrare strano che un viaggio dalla Terra a Marte si concluda con un brano che indica una caduta, eppure, questa scelta è profondamente coerente con l’idea che sta alla base del disco. dalla terra a marte è, infatti, un viaggio tra i nostri desideri e le nostre paure, ma, soprattutto, tra le nostre fragilità. Essere umani ci rende fragili, essere fragili ci fa commettere errori e commettere errori, a volte, ci porta a fallire e, dunque, a precipitare. Ma una caduta verso il basso non è per forza una caduta nel negativo; i rovere provano a spiegarci che il fallimento non va respinto, anzi, riconoscerlo e accettarlo è la chiave per andare avanti e riprendere il viaggio.
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Chiara Montesano
Classe 1997. Ho una laurea in Italianistica ma provo a scrivere di musica mentre sogno la sala stampa di Sanremo.