Rock o post-rock, a tratti soul, decisamente più emo, all’occasione anche trap. Categorizzare Generic Animal è una delle imprese più ardue dell’ultimo decennio, ma infondo a cosa serve se la sua musica funziona sempre. Non a caso appartiene a quel magico roster di eccezioni artistiche che è La Tempesta Dischi, in cui trionfa sempre l’originalità.
Luca Galizia diventa Generic Animal quando, distratto, disegna un atipico mostriciattolo su un foglio di carta. All’apparenza ricorda un animale, ma osservandolo non si capisce che animale sia. Luca lo guarda e ci vede sé stesso: scrive, canta, disegna, suona. In generale sa fare tante cose, ma rimane il sentore di non saper fare nulla bene fino in fondo. Quindi che cos’è realmente?
L’animale generico tende a ritornare nella carriera di Luca.
I primi singoli mostrano una serie di creature stilizzate che culminano nello pseudo-cane della copertina di Generic Animal, suo primo omonimo album. Emoranger, il suo secondo disco, vede un volto inciso su un totem 2.0. Attraversando i personaggi di Presto, terza sfortunata raccolta caduta nel vuoto della pandemia, il 18 marzo arriva Benevolent, fra tutte, la copertina che meglio si sposa con il contenuto del disco.
La creatura di Benevolent è bizzara: amichevole e inquietante in egual misura. Ricorda il dodo dell’albero azzurro, ma il verde del viso lo avvicina più ad un anfibio. Il becco e capelli paglierini che scendono dal capo però non lasciano dubbi: è ispirato al kappa, creatura mitologica della tradizione giapponese.
Il kappa è uno yokai (spirito) che abita laghi, stagni e corsi d’acqua. Da una parte i kappa sono maliziosi e si divertono a combinare scherzi alle popolazioni dei villaggi. Nel peggiore dei casi sono anche in grado di rapire e mangiare i bambini. Dall’altra parte però i kappa non sono totalmente antagonisti all’uomo, anzi. Essendo molti curiosi della natura umana, tendono a instaurarci rapporti mutuali. Se ricompensati a dovere, ad esempio, gli spiriti dell’acqua sono abili aiutanti nell’irrigazione dei campi e hanno doti curative.
Il kappa rispecchia molto dell’essere umano, a volte buono, altre cattivo. In Benevolent Generic Animal scende a patti con la doppia natura dell’uomo destreggiandosi con lucidità tra istanti di invidia e di paura, ma anche di consapevolezza e felicità.
Alla vigilia dei 27 anni Luca si trova nella terra di mezzo tra giovinezza ed età adulta.
Ora che il suo sguardo è più calmo e maturo, può osservare pregi e difetti nel racconto di sé. Generic Animal lavora sui traumi irrisolti di Luca, li manipola e ci fa la pace, sublimandoli, come sempre, in musica.
I primi pezzi benevoli di cui veniamo a conoscenza sono Lifevest e Paura Di, usciti in esclusiva per COLORSXSTUDIOS, piattaforma musicale tedesca che dà spazio agli artisti più eclettici a livello globale.
Lifevest, (salvagente in inglese) parla di comfort zone. C’è aria di cambiamento, ma di quelli un po’ forzati, che ci si impone: “questo biglietto lo compro subito, così non posso più tirarmi indietro”. Conversando con una signora durante un viaggio aereo, Luca comincia a sentirsi a disagio. Dentro di lui cresce la sensazione che quel viaggio non risolverà alcun malessere. Ma la signora continua a parlare e lo incalza, fino a incattivirlo. A testimoniarlo, il cambio di tono e melodia della seconda strofa. In sintesi:
“Non ho risolto niente /
Io non ci volevo andare /
Ho provato a stare meglio /
Ma è stato solo un fiasco”
In “Paura Di” Generic Animal sfoggia una voce, la sua, troppo spesso criticata.
C’è un’immagine comune all’immaginario infantile: le boe quando si ha appena imparato a nuotare. Ci è sempre stato detto di non superarle, ma nessuno ci ha mai detto che già raggiungerle è una gran fatica. La meta da raggiungere qui è la felicità. Oggetto del desiderio del XXI secolo e privilegio di pochi, che diventa mito effimero nel momento in cui ci si congiunge ad essa. L’essere umano si è abituato a conoscere le cose per differenza, familiarizzando con la nozione di “opposto”. Per questo quando Generic Animal si sente felice non può fare a meno di pensare a come sarebbe se tutto quello sparisse in un secondo.
A questi due brani si aggiungono Piccolo e Bastone, che completano la raccolta di singoli in un’ep intitolato Piccolo pubblicato a gennaio. Ennesima trovata fuori dagli schemi de La Tempesta.
Piccolo disegna una linea temporale che collega l’età infantile alla terapia. In assenza di equilibrio si fa appello all’arsenale di bugie quotidiane che fanno da scudo. Le sedute con la psicologa invece lo rimettono al centro, quasi fossero un checkpoint grazie al quale ricaricarsi.
L’arrangiamento simil-country di Bastone invece affronta temi interni al mondo della musica che si ritroveranno anche nel brano So. L’apparenza, cavalcare l’hype, fare le collaborazioni per gonfiare i followers sono dinamiche tanto frivole quanto svilenti se viste da vicino. Senza essere troppo esplicito Generic Animal apre una porticina sui backstage dei concerti dove gli artisti si danno le pacche sulle spalle anche se fino a poco prima si dissavano per qualche spicciolo in più. Molto eloquenti i versi “Ho forse ragione? / Ci vuole un bastone” che strappano un sorriso perché interpretabili. Luca, che è un tipo che parla poco ma capisce il giusto, non si mischia con certa gente. Preferisce andarsene con un timido ciao. Meglio ancora se non se ne accorgono.
“Incubo” è decisamente il brano di punta dell’album.
Un paio di note di chitarra distorte diventano il riff che struttura il pezzo. È la classica canzone alla Generic Animal: gradualmente entrano nuovi suoni, sempre eterogenei. Tutto in equilibrio. Suona strano, ma suona bene.
Se nel gergo giovanile si è abituati a definire “Inception” qualsivoglia inscatolamento visivo, siete nel posto giusto. L’artista si ritrova all’interno di un sogno, che più che un sogno è un incubo, ma è sempre meglio di restare svegli e non riuscire a farcela. È la sublimazione della rinuncia. L’insoddisfazione, le ansie, le paure e le rosicate compaiono come motivo di disconnessione dal quotidiano e Generic preferisce accettare l’incubo come statuto di realtà.
“Clermont” è uno squarcio di vita vissuta.
Suggestivo nella sua atmosfera cupa, sembra preannunciare un segreto di cui non si vuol sapere. Luca si fa narratore della storia del cane che aveva quando era bambino. Lui, ancora piccolo e impaurito, vede Clermont trasferirsi in campagna dove, secondo i genitori, sarebbe stato meglio. Generic Animal evoca una situazione ricorrente da fanciullini. Guardiamo ai nostri genitori come dispense di verità assolute e non c’è nulla che possa metterli in dubbio. “Lo ha detto mia mamma” bastava dire a scuola e gli altri bambini non potevano che darci ragione. Ma avevano veramente ragione?
A distanza di anni a Luca torna in mente il suo vecchio cane e quando si rivolge ai genitori scopre che le sue sensazioni erano vere. Clermont è andato in campagna per morire. Quante altre bugie ci vengono raccontate per comodità? Generic dipinge il momento in cui le false verità si mostrano per ciò che sono, così si scopre il motivo del divorzio della zia o perché a 11 anni si è smesso di andare in settimana bianca.
“Aspetta” (postfazione di “Incubo”) e “Riverchild” sono interludi dove il gusto per la contaminazione regna sovrano. In essi si mantiene l’isotopia dello svarione ragionato che è la musica di Generic Animal.
L’ultima canzone è uno spazio per parlare del qui ed ora. Recinto è un brano che aveva già visto la luce in versione demo nel 2019, prima ancora che Presto fosse edito. Il tempo intercorso da allora ha dato a Luca l’opportunità di dargli nuova aria e riflettere sulla sua attuale relazione sentimentale. La voce di Clauscalmo fa da contraltare a quella di Generic Animal in un dialogo dove si riconoscono le tappe di una relazione cresciuta tra i disagi di una pandemia.
Crescendo si viene investiti dalle intemperie della vita. Ci si rende conto che non è bella. Nella maggior parte dei casi è frustrante e ingiusta. Si empatizza con nostro padre quando lo vedevamo guardare nel vuoto. Tutti quei simboli che rappresentavano il bene da bambini ora appaiono più indefiniti. Siamo sicuri che ce li ricordavamo così luccicanti? L’insicurezza generazionale di cui siamo affetti dilaga fin dentro ai ricordi, mettendoli in discussione. È il potere di Generic Animal: un mondo a sé stante in cui si entra a proprio rischio e pericolo.
Alla fine però Luca sceglie il bene. Fa amicizia con il kappa. Non demolisce le sue memorie, le conserva.
“Benevolent” si ispira alla musica anni 90, primo amore di Luca che fin dalla giovane età sognava di darle nuova connotazione. Come sempre fuori dal tempo e dallo spazio, fuori da qualsiasi struttura preimpostata.
La sua passione si traduce in ultima istanza in un approccio britannico, che soprattutto nella sua veste live non delude. Forte di una formazione inedita, durante il concerto si valorizza la musica d’insieme più che la singolarità del cantante. Tra un’accordatura e l’altra, dalla performance emergono proprio gli arrangiamenti studiati per replicare i suoni a tratti proibitivi di Benevolent. Al centro ci sta la musica, poi tutto il resto. Assieme alla band, definita più una terapia di gruppo dal cantante, vince l’euforia anche nelle canzoni più aggrovigliate.
I brani di Generic Animal hanno il fascino dei paesaggi nelle gallerie d’arte. Li guardi, e anche se si somigliano un po’ tutti, rimani stupito per la bellezza di qualcosa così semplice come un colle rigoglioso. Precisa la scelta dei colori, delicate le pennellate. E quando scendi con lo sguardo verso la didascalia ti sorprendi perché l’autore è italiano, anche se non lo hai mai letto nei libri di arte. Non è Canaletto, non sono i Macchiaioli, è Luca Galizia.
In un periodo storico in cui quando non si riesce a nominare un genere si fa appello al prefisso “alternative”, Generic Animal è l’unica alternativa concreta al mare del mainstream. Sempre nuovo ma pur sempre riconoscibile, il ragazzo della provincia di Varese ci ha regalato un disco puro nell’intenzione e nel risultato.
È ironico come il suo pseudonimo finisca per banalizzare il suo operato rendendolo “generico”, qualcosa per tutti, quando non lo è affatto. La sua musica è sortilegio nella misura in cui riesce a ribaltare la realtà dei fatti: se a parole si definisce un animale generico, in musica si dimostra un animale assolutamente particolare.
Antonio Verlino
Chiamatemi Toni (rigorosamente con la I) e sarò felice. Laureando in Semiotica presso Alma Mater Studiorum, Bologna. Vedo e sento musica ovunque, a volte anche dove non ce n'è. Poi riguardo bene e la trovo sempre.