La ragazza di Cesare Cremonini si chiama Futura, sì come quella di Dalla
L’ultimo album di Cesare Cremonini – anzi, solo Cremonini, perché è questo l’unico nome che appare in copertina – è uscito per Universal lo scorso 25 febbraio.
In un articolo (ben) scritto da Giulia Cavaliere per Rolling Stone, viene ricordato come questa data sia anche quella della nascita di George Harrison, nel 1943. Inutile dire che Cremonini sta ai Beatles esattamente come ci sta la sottoscritta, se non peggio. Definirlo un fan accanito sarebbe un eufemismo: la sua passione per la band di Liverpool viene sbandierata, vissuta fin dentro le viscere ed è pure praticata da Cesare nella musica incisa, con citazioni indelebili e puntuali.
Per certi versi voglio allora pensare anch’io – come Giulia – che la scelta di pubblicare il futuro proprio il 25 febbraio non sia casuale.
Perché di questo si tratta: pubblicare il futuro, pubblicare il domani nell’oggi, lasciare al presente 14 canzoni in attesa che diventino passate mentre si proiettano di nuovo in ciò che sarà, trovandovi nuova vita. È questo che fa la musica, se ci pensiamo.
Ed è questo che cercava di fare George Harrison nel suo continuo scrivere canzoni per poi stracciarle, dentro la cornice di quella competizione perenne che subiva, affiancandosi al consolidato duo del rock Lennon/McCartney.
Salvo poi, con degno aplomb e nonchalance, vincere quella stessa competizione bruciante mentre già stava per concludersi, sfornando nel 1969 “la più bella canzone d’amore di tutti i tempi”, a detta di Frank Sinatra. Something aprì di fatto la strada all’Harrison cantautore, sulla scia di vibrazioni meditative e meditabonde. Sulla scia di quella passione ineliminabile che George coltivava per la musica indiana e che lo spingerà a consolidare la propria gentilezza nella pacatezza di uno scopo più grande. La musica non era per lui una dea, ma nemmeno un essere mortale: era La Ragazza Del Futuro che gli sorrideva ogni giorno.
L’atmosfera giusta per approcciarsi all’ultimo lavoro di Cremonini non sta però nei suoni di un sitar. E non sta tantomeno in quelli delle bombe, che dalle nostre televisioni riecheggiano, vicine e lontane al contempo.
L’atmosfera giusta si trova nell’Intro, traccia che suggerisce le stesse sonorità cangianti e sognanti di un’orchestra che accorda i propri strumenti prima di un concerto. È eterogenea, carica di promesse, estremamente comprensiva nell’accogliere ogni nostra domanda e profondamente calda nel prenderci per mano e affidarci alla title track subito successiva.
Esatto, proprio lei: La Ragazza Del Futuro, in grado di decodificare immediatamente l’unica vera parola chiave che permea l’intero disco. “One, two”: il futuro. Un futuro che è donna. Un futuro che è giovane. Una ragazza, appunto, caratterizzata dalla semplicità di andare avanti, volendo parimenti – a volte – tornare indietro.
Una ragazza nata dalle ceneri di un tour celebrativo mai cominciato: quello dei 20 anni di carriera, inizialmente previsto per l’estate 2020. Un tour fermato, sospeso, come quel Colibrì che Cremonini canta nel terzo brano dell’album. L’unico uccello che vola veloce restando fermo sul posto: tautologia delle ali che porta sulla schiena, libertà immobile ma sempre in moto. È un po’ la metafora del tempo che abbiamo vissuto negli ultimi due anni. Sospesi, immobili, fermi, ma carichi di energia e di libertà, che scalpitavano dalla voglia di essere sprigionate.
Quell’energia e quella libertà creative che abbiamo imparato ad esprimere nel tepore di relazioni famigliari cui MoonWalk, quarta traccia, rimanda. Soprattutto, per stessa ammissione di Cesare, rimanda alla morte del padre: gli ultimi mesi di vita di chi, in vita, ci ha messi.
Dialoghi, momenti, dettagli, talmente intimi da diventare poi universali.
Un “moonwalk” che richiama anche la traiettoria di quella ragazza del futuro che continua a prenderci incessantemente per mano, ad accompagnarci nel viaggio di questo disco. Ed esattamente come in un moonwalk rovesciato, è una figura che va avanti dandoci la sensazione di tornare indietro. Rivolta i ricordi, rimette in circolo la vita. La vediamo ballare su Interlude + per poi andare a perdersi nei ritmi decisi di Chimica. Chimica che è un inno al sesso, proprio come l’omonima canzone che Rettore e Ditonellapiaga hanno portato a Sanremo. Non c’è perversione, ma solo il lato più bello di chi sceglie di guardare la vita – e di viverla – dalla prospettiva più disinibita e incorrotta dell’incontro alchemico con un proprio simile, senza coinvolgimenti ulteriori.
Ma attenzione! Plot twist: il coinvolgimento arriva ne La Camicia. Un brano che sembra proprio la seconda parte di Chimica: è l’avventura di una notte che continua, diventando libertà condivisa di due solitudini che si amano. La chimica alchemica che diventa amore è la ragazza del futuro che diventa unione, ballando delicata come la danzatrice di un carillon sopra le note di Interlude –.
“Stand Up Comedy”, “Jeki” e “Psyco” sono le tre – anzi le cento, le mille – risposte possibili a questo amore nato per caso e che, per caso, si ritrova già proiettato nel futuro, nelle insicurezze dell’oggi che sono le incertezze di domani.
E Delfini è il climax: l’apogeo di archi – registrati nientepopodimeno che nei celeberrimi studi di Abbey Road – che dentro quel futuro sembra tuffarsi e nuotare. Libertà, sfrontatezza, spontaneità: nessuna resistenza, il vuoto dietro e davanti. Un vuoto che è pieno di possibilità, come il mare buio e invisibile è pieno di onde. Chiamala Felicità, perché solo questo può essere il nome di ciò che ci attende, se seguiamo nel futuro quella ragazza così piena di vita.
“Ragazzino, la guerra è finita”
Nei giorni devastanti che ci circondano, ascoltare questo verso ci fa strano.
“Tutto passa e se ne va”
Quest’ultima canzone è allora un inno all’impermanenza, che diventa immediatamente felice quando riusciamo a capirla, quando la facciamo nostra senza compromessi. Non c’è più paura davanti al domani se accettiamo l’oggi: la quiete del nostro passare, ineludibile come La Fine Del Mondo. E proprio La Fine Del Mondo è il brano che finora non avevo ancora citato, forse la canzone più vicina al senso stesso di questo album.
“Perché il futuro non lo riesci a capire / L’unica cosa che puoi fare è partire”
Difficile per me non accostare questi versi ad altri due versi, che sanno altresì comunicare sensazioni molto simili.
“Chissà, chissà, domani su che cosa metteremo le mani”
Eh sì, proprio lui. Finisco di scrivere questa mia recensione il primo marzo, a dieci anni dalla scomparsa di Lucio Dalla.
Un grande della nostra musica, con Bologna nel cuore alla pari di Cesare. E con il futuro inciso già a caratteri cubitali dentro le sue canzoni passate. Dentro una in particolare: Futura, la ragazza del futuro. Quella vera, quella a cui Cremonini ha dato – nel futuro di oggi – un’altra volta la voce.
E allora lasciamo volare la fantasia: proiettiamo Futura qui, nel 2022. Fu concepita nel 1980, avrebbe avuto l’età di Cesare. Sarebbe “bella come una stella”, come sua madre in miniatura. Capace di nuotare insieme ai Delfini, di recitare in una Stand Up Comedy, di chiamarsi Jeki, di ballare il MoonWalk, di guardare Psyco senza spaventarsi, di volare come un Colibrì, di seguire con tutta la propria energia quella Chimica tanto bella, di indossare poi La Camicia trasformando la chimica in amore, di fronteggiare La Fine Del Mondo e Chiamarla Felicità. La Ragazza Del Futuro, dal 1980 al 2022, è tutto questo.
E aspetta, “senza avere paura, domani”.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.