Questa è la recensione del secondo ascolto di “Privilegio Raro”, secondo capitolo creativo di Tutti Fenomeni. Si, esatto. Il secondo ascolto di un secondo disco.
Ma, per comprendere questa velleità spazio-temporale, bisogna fare un doppio salto carpiato a gennaio 2020. Ricordo bene il primo ascolto di Merce funebre: fu un colpo di fulmine. Un disco che continuo ad ascoltare ancora adesso (ho sempre pensato fosse in assoluto la variabile più duratura per giudicare un lavoro musicale) e a cui dedicai una (fin troppo lunga e forse noiosa) recensione sulle Rane. Un disco capace di scomodare i massimi sistemi della critica musicale specializzata: i rapporti con la perfezione di Niccolò Contessa, il presunto stile catchy e vagamente radical chic di alcune citazioni, le smagliature legate al passato del nostro eroe (all’anagrafe Giorgio Quarzo Guarascio).
Con il senno del poi, forse, nello scrivere e nel leggere tutti i fiumi di parole attorno Merce Funebre avrei operato un drastico taglio alle calorie (e alla successiva iperglicemia): il disco rappresentava in toto la crisi del pantano indie/it-pop/copiaincolla a cui stavamo assistendo da anni. Un disco sicuramente non ascrivibile a capolavoro assoluto nato da ceneri fumanti e di cui prendeva frammenti codificanti: non una copia di Contessa ma un superamento meticcio e catchy (e non ritengo il termine un’offesa). Una pietra in uno stagno lanciata da qualcuno che conosceva bene quelle acque putride.
Non stupisce, quindi, che nel dover ascoltare “Privilegio Raro” ho voluto creare la serata perfetta: luci soffuse, modalità aereo e pizza con mozzarella di bufala.
Dopo 36 e rotti minuti, il link privato si interrompe. Colpo di pistola: non mi ha convinto. L’effetto “Uao” non c’è stato. Osservo il cartone della pizza e penso: e adesso?
E adesso? Sti cazzi. D’altronde perché Privilegio Raro dovrebbe necessariamente assomigliare a Merce Funebre? Perché Tutti Fenomeni avrebbe dovuto creare una copia di quello che lo aveva reso un idolo?
No, non aveva senso. Non aveva senso rincorrere un effetto “Uao” di cui non sentivo il bisogno.
Ho riascoltato Privilegio Raro senza la pizza e senza le luci soffuse. Il secondo ascolto. Questa è, come detto, la recensione del secondo ascolto del secondo disco di Tutti Fenomeni.
Tredici tracce. Tutto si apre con una intro spinta da un cavallo che corre e nitrisce. Forse è un segno: segno di libertà, anarchia e meraviglioso strumento nelle mani dell’uomo. Ho già trovato una buona frase da scrivere: se nel primo disco si camminava gettando bombe, squarciando veli di Maya adesso tutto è asservito tecnicamente agli strali del Guarascio.
Lui deve raccontare, deve farlo a modo suo. Il suo è un galoppo ordinato senza paraocchi. Lui deve raccontare e gli è permesso: questo è il suo Privilegio Raro.
Forte è la presenza di Roma caput mundi: forte è la micronizzazione del valore di una città abituata ad ospitare crocevia di civiltà e culla della Chiesa. La Capitale è presente come sfondo e come punto di partenza: lo stornello amoroso legato alla sua città (che pervade pressoché tutto il disco) si arricchisce di influenze pressoché costanti e multicentriche. Lo scenario si allarga e si restringe senza sosta. Anche l’arte Sacra (architettonica e verbale) rappresenta un bracciolo identitario.
Musicalmente, il disco è come un mix di frutta: riusciamo a leggere tutti i vari ingredienti (con quella forte sensazione di approvazione) e ne riconosciamo la simbiosi saltellante. Dallo stornello al cantautorato, dalla protesta al low profile. C’è tutto. Ed è proprio questo a non penalizzarlo. Una città come Roma non può essere inscatolata musicalmente: il Guarascio lo sa bene. E lo sa bene il suo produttore.
Quanta distanza c’è tra “Mister Arduino” e “Vitaccia”? Provate ad ascoltare il disco in modalità shuffle e avrete la risposta.
A voler creare prurito alle tastiere dei portatori delle “verità incontrovertibili”, il disco presenta una ricerca musicale molto più presente rispetto a Merce Funebre. I testi, elaborati e plasmati, presentano elaborati emotivi più introspettivi. E, per questo, sono meno d’impatto.
Perché questa è pur sempre la recensione del secondo ascolto, eh.
Anche l’utilizzo delle “citazioni” (altra pietra dello scandalo di Merce Funebre) è marcatamente più emotivo. Sono funzionali alla narrazione e non producono “Uao” (appunto). Forse non imparerò “Antidoto alla morte” a memoria (come successo con la maggior parte delle traccia di Merce Funebre) ma mi capiterà di ripensarne i contenuti.
Provo a riassumere tutto: se Merce Funebre è stato un disco Punk, Privilegio Raro è un disco Post punk.
E no, Privilegio Raro non è la copia di Merce Funebre. Uao.