L’altra notte ho sognato Venerus: era vestito di un blu elettrico e delle luci bianchissime lo ricoprivano come un velo dall’alto. Era su un palco vuoto, solo con il suo pianoforte. Sedevo al centro della platea, non c’era nessuno. Avrebbe cantato solo per me. Mi ha guardata e ha iniziato a suonare proprio quella canzone. Quella che mi ha letteralmente salvata, un pomeriggio, quando, mentre piangevo, mi chiedevo se ci fosse qualcuno come me, un po’ strambo, un po’ incasinato. “Chissà se qualcun altro è fatto così”, risuonavano le pareti del sogno sulle note di “Ogni pensiero vola”.
C’è stato un momento della mia vita, esattamente quel pomeriggio, in cui i pensieri cominciarono a volare per davvero. Presero forma rapidamente, incontrollabili invasero lo spazio intorno a me. Facevo fatica a districarmi. Mi ci muovevo all’interno dimenandomi, spingendo, come si fa quando ci si trova in mezzo ad una folla. Mi sentii, d’un tratto, buffa e goffa: non fu semplice per una come me che soffre di claustrofobia! Ma la musica, si sa, ci salva sempre. Soprattutto quando è così magica.
I brani vibravano fluidi, scorrendo nelle pieghe dell’intimità di cui solo i sogni sono fatti.
Magica musica: Venerus danzando con le dita sui tasti del pianoforte sembrava pronunciare un lungo incantesimo. Viaggiai altrove: come in un sogno dentro il sogno, non riuscii a rimanere coi piedi per terra. Fluttuavo mentre intorno rifioriva luminoso come un bosco il mondo del cantautore milanese. Un mondo in bilico tra il reale e il fiabesco, oserei definirlo strano, ma affascinante. Ne ero attratta, coinvolta, di certo incantata.
Si sa, la struttura e lo scenario di un sogno cambia rapidamente. D’un tratto non fummo più soli: dalla penombra delle quinte, sul palcoscenico apparvero, come se fossero state evocate da universi paralleli non così distanti, alcune figure. Frah Quintale, Rkomi, i Calibro 35, Gemitaiz: ognuno aggiungeva un ingrediente. Venerus prese le sembianze di uno stregone buono: recitava parole magiche mentre Mace, suo fedele amico, era intento a mescolare, con olio di gomito, una pozione meticolosamente preparata.
Quel calderone fiabesco era l’epicentro di tutta la magia del mondo. Code di pop, unghie di funk, brandelli di hi-hop e rap, scariche di elettronica, cuore di soul, denti di jazz, un pizzico di cantautorato e world music allucinata qua e là. Qualcuno portò un barattolo: sopra c’era scritto “Il suono ricavato dalla piscina della casa a Olbia di Salmo”. Immaginate tutte queste cose unite insieme, ponderate, dosate, mescolate in un vero e proprio cocktail che crea dipendenza.
Ci fu silenzio, tutti immobili.
Venerus prese un mestolo di quell’intruglio e lo versò in un calice. Scese le scalette e, avvicinandosi, me lo porse. Poi disse: “Seguo la mia direzione. Non ho piani, ho la mia stella cometa che seguo. Non c’è niente di fittizio, c’è si immaginazione ma nulla di finto. Mi rendo conto che questo genera vita. Il connettere le persone tramite la musica, con i concerti, è da lì che vengo. Si parla poco di cosa veramente lascia oggi un disco, ma è questa la parte più interessante del fare musica.”
Feci un sorso e compresi. Gli elementi si incontravano, si intersecavano continuamente fondendosi l’uno dentro l’altro; un trip psichedelico che non lasciava spazio alla razionalità; un’atmosfera esoterico-fiabesca mi avvolse e mi riportò altrove: l’esplorazione di mondi magici, l’esperienza onirica; la scoperta di nuove dimensioni. Era tutto così reale.
Volsi uno sguardo dietro di me: la sala era gremita.
Venerus si presentò così al grande pubblico, come un musicista pieno, anticonformista, che non si preoccupa di piacere necessariamente a chi lo ascolta. È un devoto sacerdote della dea musica, attraverso cui a tutti i costi e in tutti i modi racconta sé stesso. È un esteta visionario, si spinge oltre anche da un punto di vista “visual”. La copertina della sua opera “Magica Musica“, infatti, lo immortala in bilico tra due mondi, uno reale e l’altro fantastico, ed è ispirata a un’iconografia che ritrae l’eretico Giordano Bruno.
Negli ultimi istanti dell’ultima canzone, ho iniziato ad aprire gli occhi e mi sono ritrovata nella mia camera. Mi sembrò di essere tornata da un lungo viaggio; come se fossi stata in decine di posti diversi: una volta su una montagna, un’altra su una spiaggia, o addirittura su Marte.
Incredibile: un viaggio con me stessa e su me stessa, dentro me stessa in compagnia della voce di Venerus, il mio personale Virgilio: una guida verso una qualche sorta salvezza.
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Vanessa Putignano
La mia parola preferita in assoluto è: "parola", scusate la ripetizione. Io amo le parole, amo la comunicazione, grazie alla quale ne posso usare tantissime. Grazie a loro io riesco ad esprimere le mie emozioni, i miei diritti, i miei piaceri. Le parole infatti, mi hanno portata a dedicare la mia intera vita universitaria proprio alla comunicazione. Già dottoressa, quasi bis, in comunicazione, ho deciso di rendere tangibili due cose che mi hanno già salvata tante volte, unendole. Le parole e la musica. Infatti, pensate ci possa essere qualcosa di più bello?