A fine anni 2000 una band milanese cantava “Cosa resta, cosa rimane?”, domanda che puntualmente ogni anno a distanza di circa un mese ci si fa in merito al Festival di Sanremo, specie in una edizione così diversa per i ben noti motivi. L’aggravante (o la fortuna) è che di questi tempi tutto passa a una velocità che al confronto Hamilton pare un anziano col cappello che guida una Fiat 128.
Arrivano i brani del festival, si susseguono gli album degli artisti presenti in gara, nuovi album, repackaging, edizione limitate, deluxe, epiche, fantasmagoriche e poi, puff… bacchetta magica, pronti a essere investiti da altre nuove uscite, attese o meno attese, da tutto il mondo, convincenti o meno. Tutto ciò che arriva a distanza di un paio di settimane dalla kermesse ligure viene quasi totalmente spazzato via. Quasi. Perché, appunto, alla fine qualcosa resta, qualcosa rimane.
Personalmente ritengo che tra le cose che indubbiamente restano ci sia il disco di Madame, sia artisticamente che discograficamente.
Discograficamente perché si tratta proprio di un album in cui inevitabilmente sono presenti produzioni passate, ma almeno non si ha la sensazione di ascoltare una sorta di greatest hits come troppo spesso ultimamente accade (dopo 7 o 8 singoli, esce l’album con un paio di inediti). C’è materiale nuovo, e soprattutto nel materiale nuovo c’è una continuità artistica evidente e non un mero collage di produzioni raffazzonate.
Artisticamente invece il discorso è sicuramente più complesso, perché sottende alla soggettività del fruitore. Ritengo ci siano elementi che in modo inequivocabile collocano Madame e questo album come punto di riferimento di una modernità musicale. La si può apprezzare o meno, ma è lì, indiscutibile e ci si deve rapportare se si vuole parlare, appunto di modernità e contemporaneità.
La mia generazione, quella dei boomers, sta continuando ad alzare barricate culturali.
Si mette in trincea col mitra puntato pronta a sparare contro tutto ciò che apparentemente sembra voler mettere in discussione ciò che è stato; ma il peccato originale è proprio questo. Nessuno vuole mettere in discussione ciò che è stato, vuole semplicemente rivendicare il proprio spazio nel presente e nel futuro prossimo.
I Måneskin non vogliono essere i nuovi Led Zeppelin, Ghali non ambisce a organizzare il “Ghali beach party”, ad Achille Lauro non interessa far dimenticare David Bowie. I confronti li facciamo noi dinosauri, autoeletti custodi del vero significato della parola arte. Questi Artisti fanno semplicemente ciò che desiderano fare, cantano sé stessi e ciò che vedono ed utilizzano gli strumenti comunicativi che hanno a disposizione.
Madame ha 19 anni. Collocata nella storia del mondo, è nata dopo l’11 settembre, dopo l’entrata in vigore dell’euro, quando la mia generazione si entusiasmava a giocare a Snake con i Nokia.
Se la colpa è questa, capisco perché siamo un paese a crescita demografica pari a zero.
Madame è perfettamente collocata nell’oggi: lo scrive, lo canta, lo racconta con il linguaggio del presente. L’eccesso che traspare è negli occhi di chi dimentica, per comodità, che nella musica d’autore questo elemento è sempre stato presente. Madame, però, rispetto alla sensazione di alcuni anni fa in cui questa soluzione appariva uno stratagemma, parla di aspetti “scabrosi” senza mai dare la sensazione di voler creare sensazionalismo.
C’è una naturalezza disarmante di fronte alla quale mi è difficile pensare al “prodotto Madame” dal punto di vista musicale ed artistico. Ovviamente tutta la comunicazione, tutta la macchina da guerra costruita intorno a lei dal suo management si muove allo stesso modo di qualsiasi altro “prodotto”, ma questa è la logica di mercato. Pensare di fare un disco e sperare che questo possa funzionare solo perché ben riuscito è come sperare che “ciao Darwin” non venga più trasmesso: una speranza vana.
Le sovrastrutture che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, soprattutto nel mondo della musica urban con Madame sembrano essere un lontano ricordo.
C’è un’idea, un progetto artistico che la connota e la rappresenta perfettamente. Che tutto questo poi possa essere sinonimo di una lunga e sfolgorante carriera (non so se la vedremo trionfare ai Golden Globe come la Pausini per intenderci) mi è oscuro. Credo sia irrilevante tanto quanto chiedersi che percentuale di autotune abbia usato in quel pezzo piuttosto che in quell’altro (come se mai ci fossimo interessati alla percentuale di wet del distorsore di Bryan May).
La narrazione nel suo disco è coerente. Non trova corto circuiti logici di fronte ai quali sobbalzare e chiedersi se quello che stiamo ascoltando sia solo fumo (in senso figurato). Perfino il featuring con i Pinguini Tattici Nucleari (combo sulla carta poco probabile) ha un equilibrio invidiabile e non puzza di “2 cose tenute insieme con lo sputo”.
Madame è l’oggi, musicale e sociale di una generazione. Non la rappresenta nella sua totalità, ma la rappresenta totalmente.
Se ci sono capi di imputazione contro di lei è bene quindi sapere che i mandanti di tali reati siamo noi. Contrariamente, anziché puntare il dito, sarebbe opportuno iniziare almeno ad ascoltare la generazione che Madame rappresenta. Capirla, una volta fatto, potrebbe poi anche non essere necessario.
Foto di Mattia Guolo