Dieci tracce per quello che lui stesso, Marinelli, definisce il suo “secondo primo disco”, scritto pensando al mare tra le strade di Bologna. L’inizio di un nuovo percorso artistico prodotto da Manita Dischi in cui il cantautore di origini tarantine si proietta verso una dimensione pop, intima e decisamente… cromatica!
“Blu” è un disco da ascoltare in quelle sere in cui torni a casa stanco dal lavoro. O dopo aver passato la domenica a far niente, mentre ti chiedi qual è la direzione che vorresti dare alla tua vita. E se l’esistenza è la misura degli abbracci nei quali ti sei rifugiato, sperando che il cuore che si stringeva sul tuo petto ne sapesse più di te. E invece niente. Quel vuoto rimane e tu te ne stai lì, in una casa che senti tua ma non abbastanza, sdraiato sul letto a pensare che in fondo anche questo corpo che è tuo ti sta stretto e non ti appartiene, abbastanza. Almeno finché non ritrovi la sensazione di quelle braccia nelle quali ti stringevi… e poco importa se ne sapevano meno di te.
Questo, quantomeno è quello che è successo a me.
E allora ecco che lo senti, il sottofondo di una chitarra che sembra provenire dall’altra stanza:
Stasera che sera anche senza di te. È tardi ma accendo la luce in cucina preparo il caffè. Manchi, ci penso/ forse è meglio anche se/ mi illumino meno di immenso e non dormo mai fino alle tre/ ancora non ho capito se questo amore è finito/ la cosa che amavo di più/ era farti arrabbiare e poi poterti abbracciare/ il soffitto dipinto di blu/ aprire gli occhi al mattino e pensare di essere al mare…
Ma siamo a Bologna e a Bologna non c’è il mare. Ci sono queste strade che di notte sembrano non finire mai. È la sensazione che mi sono portata dentro la prima volta in cui mi sono trovata da sola in una città che mi sembrava troppo grande per i miei passi incerti…
Le strade di notte a Bologna/ ti portano tutte verso il mattino/ la notte, ogni notte ti ingoia/ e diventa più lunga del giorno che sfuma.
Io purtroppo – a differenza di Marinelli – non ho ancora trovato nessuno che mi abbia chiesto di restare. Il mare però, per fortuna chiama e in quello che definisce la sua canzone estiva dell’inverno, Giovanni ci racconta che le onde sono per lui un luogo nel quale riesce a ritrovare sé stesso, la sua pace, il suo porto sicuro (manco a farlo apposta) e quelle braccia evocate all’inizio:
Guarda che bella la notte vista da qua/ ti prego dimmi che è bella anche se non siamo in città/ e non è vero che il mare d’inverno è triste non sono d’accordo/ mentre ti abbraccio lo senti che caldo che fa?
Perché in fondo, di fronte al mare, tutti ci sentiamo un po’ come se fossimo in un film di James Dean…
Bisogna però tornare alla realtà, ai ritmi della vita di città che più che ad una pellicola cinematografica, somiglia ai contorni di una serie tv di fronte alla quale preferiamo annullarci piuttosto che esibire una finta felicità. E poi mentre la guardi succede che ti cade l’occhio su quella maglietta che indossavi perché “lei” adorava e non puoi fare a meno di pensare a quando proprio lei si commuoveva guardandola. E ti senti ancora più cretino, perché speravi che bastasse una serie tv a riportarla indietro… Maledetta T-shirt.
A sistemare le cose, o quantomeno per provare a farlo, ci pensa un altro singolo: Collezione. Un invito ad accogliere tutte le sfumature dell’anima a perdonare gli amori del passato (che in fondo fanno sempre curriculum, no?).
Ansie da prestazione crisi di identità/ ne ho pieni tre cartoni in continua crescita/ sono un collezionista di prove di umanità/ conservo anche qualche lista con quello che non mi va/ vieni a vedere la mia collezione/ potresti farne parte anche tu.
Insomma, il sound qui si fa più incalzante mentre Marinelli cerca quasi sarcasticamente di trovare un equilibrio tra la voglia di esporsi, lo slancio romantico e la paura che si tratti di un ennesimo buco nell’acqua da aggiungere alla “collezione”.
E manco a volerlo fare apposta Fanta tira fuori una figurina dall’album per raccontarci un amore dal retrogusto amaro:
Se ti fossi tolta quell’orgoglio di dosso/ canteremmo ancora nella tua macchina/ una canzone di Elthon John senza conoscere il testo/ e il gatto non avrebbe crisi di identità.
Ma noi non siamo come il protagonista del futuro, Giovanni lo sa bene che l’unica macchina che possiamo usare non è quella del tempo ma quella del caffè… per gustarne l’aroma che sa di rancore.
E allora dritta in faccia arriva Sticazzi a ricordarci il piacere dell’otium, di quanto sia bello lasciare e lasciarsi andare.
Lo spirito è sempre provocatorio di fronte a certi dogmi che ci vogliono sempre puliti e smaglianti. “Dovresti provare con lo yoga, ho il nome di un buon terapista, eccetera eccetera”. Sticazzi è il piacere che si trova nelle cose semplici rispetto a dei patetici bocconi di routine.
Vieni a vivere con me/ ho una casa in mezzo agli alberi/ e una montagna di dischi/ staremo bene anche così col sole in fronte e quattro abiti/e tutto il resto sticazzi.
È proprio quando stai per arrivare a destinazione che parte “Nei” per ricordarci che non saremo mai troppo grandi per lasciarci avvolgere dalla consistenza di un sentimento di cui si intravedono ormai solo le tracce: una tazzina sporca di caffè, una cartina, un maglione…
Stringimi più forte/ no non me ne fotte della nostra età/ Basta coi pensieri oggi non è ieri/ resta ancora qua/e cercherò in un’altra i tuoi difetti/ che ti rendono speciale l’unica per me.
Perché come diceva qualcuno le tracce non sono altro che “prove non provate della presenza di una assenza.”
Finalmente l’asfalto finisce e con “Sale” si ritorna dove tutto è cominciato: al mare.
I luoghi non sono altro che habitat che si imprimono nei nostri ricordi. In essi ritroviamo i sapori che credevamo di aver dimenticato, il calore dell’infanzia, l’autenticità quasi atavica, primitiva della pelle che si scotta al sole, con l’acqua che diventa il palliativo perfetto per curare anche le ferite meno superficiali.
Quel tatuaggio che hai/ che ti ricorda il passato e il futuro/ copre la pelle però lascia coperto il tuo lato migliore quello che ti fa ridere per ore. E ti ricordi cosa ti fa il sale?/ ti fa guarire tutte le ferite/ ti aiuta anche a rimarginare il cuore/ quell’errore serve anche a portarti da me nell’errore sa
Per farla breve (che sarebbe pure ora) il disco di Marinelli ci piace, perché smentisce la semantica dei colori. Blu è il colore di un amore diverso, sfumato dalla nostalgia. Che in questo caso non è il sentimento dell’ignoranza, come diceva Kundera.
L’amore Blu di Marinelli, si spoglia delle venature rock perché è giunto il momento di guardarsi allo specchio e dirselo onestamente: di amare non ci stancheremo mai. Tanto anche quando farà male a farci del bene, ci penserà il mare.