“Le buone canzoni puoi rigirarle come vuoi, rimangono belle”. È lo stesso Mario Venuti a fornirci la migliore recensione del suo “Tropitalia”. Undici tracce, undici riletture amorevoli di altrettanti successi immortali della migliore tradizione italiana.
Un atto d’amore, quindi.
Nel titolo si nascondono le due chiavi di lettura più immediate, plasmate per far capire di cosa stiamo parlando. Tropici+Italia, il calore dei tropici e il bel canto (e aggiungerei della struttura testuale), la spontaneità della vita in riva al mare e le sovrastrutture sentimentali di un “Amore” decantato in circa un secolo. Si, perché tra la traccia più datata, Vivere di Bixio e la più recente, Xdono di Tiziano Ferro, ballano oltre sessanta anni. E poi, riallacciandoci all’introduzione, quel “Trop-” mi fa pensare alla sincera esclamazione di chi davvero troppo adora la creatività canora del proprio paese.
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Già, adorare/amare. Sarà che Mario Venuti è un artista “vero”, esponente di un esercito di falegnami della musica e a cui pensare (fin dagli esordi) come innovatore e fautore delle contaminazioni. Sarà che Mario Venuti ha la benevola autorità per poter cantare quel che vuole; che un album di cover è sempre un po’ un salto nel buio, un operazione da all-in e chi ci prova sembra sempre o un cucciolo bagnato in pieno inverno o una bestia famelica. Sarà che avremmo bisogno di meno pianificazione, di quella sana follia che non deve per forza farci classificare e divinizzare le influenze di un disco (non saranno contenti i puristi delle recensioni); o che tutto quello che ho appena scritto è fin troppo banale nella sua semplicità.
Sarà che Tropitalia è un bel disco. Ben fatto e pieno di innumerevoli albe e tramonti musicali.
Un Mario Venuti versione pikkolo kimico (le k sono volute) che gioca con i ricordi d’infanzia e i sentimenti più ancestrali dell’essere umano. Interessante la scelta delle tracce: più corposa in certe latitudini (Figli delle stelle, Quella carezza della sera, Una carezza in un pugno), più “emotiva” in altre (Ma che freddo fa, Vita, Il cuore è uno zingaro), semplicemente geniale in Non ho l’età e Vivere, meno riuscita in Voar e Xdono.
Sarà che Maledetta Primavera, impreziosita dalla voce meravigliosa di Patrizia Laquidara (chi scrive vi invita ad ascoltarla sempre per ogni stagione del cuore), da sola vale il prezzo del biglietto. Andrebbe ascoltata rigorosamente come ultima traccia, come post-it del mattino che assorbe gli odori familiari delle nostre cucine, come monito di una nostalgia capace (in potenza) di distruggere i colori.
Mario Venuti e 38 minuti di amore per la musica. Armatevi delle vostre migliori cuffiette (dedicate tempo e spazi neurali alla ricchezza delle composizioni) e canticchiate tracce che non si può non conoscere. Un esercizio di bellezza e di necessità.
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