Da sempre l’arte è lo strumento più usato per esorcizzare il dolore. La cantautrice romana Mèsa ha scelto la musica per difendersi dal passato, raccontandolo, rielaborandolo, facendo sì che da un vaso rotto potesse nascere qualcosa di significativo.
In questo modo nasce Touché, un album composto da undici pezzi uscito quest’anno per Bomba Dischi.
A chi pensa per capire e più pensa meno capisce /
A chi guarda sempre l’ora, che non è mai quella giusta /
A chi, il terzo pezzo dell’album, è un brano arrabbiato, fortemente pop rispetto al resto, una dedica agli altri e, infine, a se stessa:
A me che sento solo il rumore dell’acqua ferma /
E l’ossigeno è di ieri /
E mi rincorre ma non mi prende mai /
Mi rincorre, ma non mi ferma mai
Sembra quasi di venire catapultati dinanzi a delle sagome diverse tra loro ma fatte comunque dello stesso materiale: cambiano i colori, cambia la forma, cambiano i bordi magari, ma al tatto percepisci la stessa cosa. A chi ci presenta contrasti, debolezze e fortune degli esseri umani, tutti diversi, tutti carichi di sfumature di ogni tipo, ma che in fondo sono più simili di quanto si possa pensare.
Quello che si potrebbe considerare l’esatto opposto, tra i pezzi contenuti nell’album, è il primo singolo.
Oceanoletto ha un titolo che reputo meraviglioso, emblematico, carico di significati. Il brano è molto strumentale, con un testo breve ma che lascia spazio all’immaginario di ogni ascoltatore:
Dicembre mi batte sempre, /
con le coperte si vincono le guerre /
Nuoto a dorso tra le fotografie, /
ci somigliano ancora molto /
Oceanoletto te lo avevo detto d’imparare a nuotare
Le immagini che arrivano sono delicate ma allo stesso tempo quasi dolorose, la cantautrice ci racconta pezzi della sua vita, storie amare da un lato ma che riescono ad apparirci leggere. Ci sono i ricordi, le fotografie, un letto che non è la barca ma l’intero oceano, il freddo di dicembre: siamo dinanzi alla fine di una storia, il letto diventa la metafora di un passato di cui restano soltanto fotografie tra le quali bisogna necessariamente imparare a nuotare, per sopravvivere, per non lasciarsi annegare.
Perché se è tutto ha il suo posto /
Tutto ritorna sempre da me?
La malinconia continua, si percepisce anche nel resto dell’album mentre veniamo accompagnati tra le sue parole, facendoci spazio tra i ricordi.
Tutto è forse il pezzo che mi piace di più. La tristezza è ancora molto forte, ma traspare anche qualcos’altro, la voglia di attendere la prossima guerra, di farsi trovare preparati a nuovi scontri, una fine che lascia qualcosa che è tutto.
Parlami ancora una volta di come si perde qualcosa.
Jeanette Winterson, una scrittrice britannica, nel suo libro “Scritto sul corpo” si chiede: perché è la perdita la misura dell’amore?
La perdita, in realtà, è un po’ la misura di tutto. Ci terrorizza per la sua facilità, per la sua incombenza. Persino l’idea della perdita ci fa paura e finisce infine per danneggiarci, per farci del male, per essere la causa di se stessa. Ma in che modo si perde qualcosa? Mèsa se lo chiede un po’ come facciamo tutti, forse per provare a limitare i danni, pur conoscendo l’amara verità, pur sapendo che – per quanto preparati alla guerra – non tutto è prevedibile, non tutto è contrastabile.
Federica Messa – in arte Mèsa – ha soltanto venticinque anni, eppure le sue canzoni ci lasciano una buona parte del suo vissuto, delle sue esperienze, ci raccontano come si impara a nuotare, come si perde qualcosa, come si perde la propria persona e come si riemerge dall’oceano. Ci racconta la fine e ci spiega come andarle incontro, accettando il dolore, accettando quel pugnale, accettando la chiave che gira nella serratura.
La fine è un punto d’inchiostro /
Nero su questo foglio /
È una porta chiusa bene /
Ascolta qui Touché, il primo album di Mèsa
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