“Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale”. Questa frase, utilizzata come un mantra, è parte di Benzina Ogoshi, traccia dei Subsonica del 2010. Il successo è una valanga capace di fagocitare ogni lucidità: la rabbia di Samuel nel pronunciare l’atto di denuncia verso un pubblico desideroso di morbose novità è forte, squassante. È l’overdose tellurica. Segno della contro-rivolta, guerra stilistica che avrebbe anticipato temi e musiche di qualche anno dopo.
Che Microchip Emozionale fosse la pietra dello scandalo non stupisce nessuno.
L’album del 1999 rappresenta la porzione pura del DNA codificante musicale degli ultimi venti anni. I numeri di un successo rappresentano solo parte della storia: sarebbe stato disco di platino e seguito da un tour trionfale. Io ricordo perfettamente quell’estate e la difficoltà nel trovare un passaggio decente per partecipare alla tappa romana. L’Italia musicale era invaghita da una nuova ondata sonora meticcia e contaminata.
Hit Mania Dance era la base di ogni approccio adolescenziale, pretesto per baci rubati e pornopalafitte ancora da analizzare criticamente. MTV ci insegnava l’inglese e portava nelle nostre case un baule di balocchi pieno di musica internazionale fino a poco prima appannaggio di adulti opulenti e CD acquistati nei duty free. Filosoficamente, si viveva un aria post-positivista: la fiducia piena nelle possibilità delle scienze tecniche avrebbe a breve demolito le dinamiche umane classiche con la rivoluzione digitale. I cellulari avrebbero ridotto le distanze, creando la dolce sequenza di squilli e messaggini animati. Che la corrente filosofica di Comte sia stata ben assimilata dalla band torinese lo dimostra il titolo “scientifico” dell’album che ci permette di esplorare il dark side di quegli anni.
Microchip Emozionale è figlia di Aurora sogna, manifesto dispnoico di un sarcofago distopico di anime allo sbando.
L’ansia emozionale, i disturbi alimentari, l’estremo appiglio delle cyber-emozioni, sono tematiche sociologiche che ancora oggi tatuano l’interstizio corticale dei ragazzi di fine secolo. Il Millennium Bug, metafora informatica di un disturbo psichiatrico, devastava i percorsi sanitari di anime alla ricerca di strade senza sassolini. In questo percorso, la musica rivestiva il doppio ruolo di luce led e bastone rabdomante. Cercavamo noi stessi in uno specchio che ci rubasse anima, cuore e alveoli: emozioni ferrose, la palliazione emotiva.
Essere non umani ed evitare la sofferenza: le nostre ferite di allora si sarebbero riaperte con le Teorie della robotica emotiva, con l’intelligenza artificiali e le reti neurali nocicettive. L’estrema complessità di Microchip Emozionale l’avremmo realmente compresa anni dopo. Ogni mareggiata consta dell’esplosione violenta delle onde e della nuova forma della spiaggia a seguire. Avremmo risentito tematiche e suoni in mille e mille altre composizioni: avremmo gioito, pianto e maledetto quelle note ancora per molto. Le avremmo metabolizzate e scomposte. Come fossero frammenti di vetro in mezzo alla sabbia bagnata.
“Non siete riusciti a bissare Microchip Emozionale”, dicevamo.
Non ce n’era bisogno. I Subsonica riescono a percorrere l’unica corsia possibile. Donare una nuova forma: setacciare i frammenti di vetro e reimpastarli con materiali nobili. L’idea, semplice e geniale allo stesso tempo, ha coinvolto una truppa eterogenea di artisti. Il nuovo che avanza, diremmo. In realtà, l’impatto nella ri/decostruzione di tutta la tracklist conferma, ancora una volta, quanto quei frammenti di vetro fossero lucenti. Vede la luce Microchip Temporale. Album fondamentale, ideale trait d’union tra un passato estremamente attuale e un presente teneramente onorato di esserlo.
La scelta dei nomi a cui riaffidare le tracce ha avuto un contributo anagrafico fondamentale. Sono gli artisti che oggi hanno l’età dei Subsonica nel 1999. Stessi slanci vitali in un mondo diverso. Non voleva essere un album tributo e non lo è. È il ritrovarsi dopo tanto tempo: nelle rughe, le immagini di una vita su un palco. Siamo noi che guardiamo negli occhi il nostro avatar.
Sonde
È Willy Peyote il prescelto per la rilettura di una canzone dalle tematiche scandalosamente attuali. Big data, profili virtuali, privacy. La voce cadenzata, gli effetti echo innescano un countdown emotivo. Siamo spiati. Oggi più di ieri. Inquietudine.
Colpo di pistola
La voce di Nitro dona rabbia ad una traccia difficile. Molto meno egocentrica rispetto all’originale ha nel verso “Dopo tutto sono un uomo” una chiave di lettura interessante e universale. Evangelica.
Aurora sogna
Pezzo osannato, cucito sulla pelle di ogni fan. Con il rischio di un golpe, la scelta dei Coma Cose appare la più naturale. Aurora Sogna è inno di tutte le paure d’inizio millennio. La depersonalizzazione, l’automazione palliativa. “Che schifo avere venti anni ma quanto è bello avere paura”. Ecco.
Lasciati
Elisa è l’unica non ventenne ma presta la sua arpa vocale ad una delle tracce più intime. “Un ultimo saluto al nostro tempo” è disperato e inaccettabile cielo nero di dolore. Secondarismi emotivi.
Tutti i miei sbagli
La traccia sanremese, il primo calcio al mainstream. Motta riesce a fornirne una versione acustica, priva di tutte le sinapsi elettroniche. Coraggiosa. È un colpo difficile da digerire, come le verdurine ai bambini. Ma l’intensità, la fusione di due voci così diverse, giustificano uno dei passaggi che i fan potrebbero considerare blasfemo. Riuscita perchè centra l’obiettivo di base. Target.
Liberi tutti
Lo Stato Sociale tributa un omaggio tout court a una delle canzoni più iconiche. Vera spaccaconcerti del gruppo, è il vero tributo al passato. Autostradale.
Strade
Coez riscrive la traccia che faceva piangere i fans durante i concerti. Poteva essere un massacro: non è così. Versione che rappresenta uno dei momenti più personali: la ascolti due volte e la senti tua. È dura crescere. Transgenerazionale.
Disco Labirinto
Cosmo. Nulla da aggiungere. Chapeau.
Il mio DJ
Achille Lauro è cartina tornasole di un nuovo corso. È il giusto compromesso tra il vecchio cuore e i nuovi polmoni. Suoni acidi, sonorità meticce regalano al brano una freschezza maliziosa e glitterata. Collaborazione tra le più riuscite. Tempesta glitterata.
Il Cielo su Torino
Parlare di se, delle proprie strade, di quello che siamo e siamo sempre stati. È emozionante il feat con Ensi: il capoluogo piemontese è luogo di scambio e autostrada verso il futuro. Atto d’amore. Feeling plumbeo.
Albe meccaniche feat. FASK
Una delle tracce che più mi ha incuriosito. A ben dire: il gruppo perugino sparge benzina su una delle traccia meno conosciute. Vera e propria chicca dell’album. Up patriots to arms.
Depre
Myss Keta non si giudica, si ama. L’elenco infinito di farmaci sembra nato per lei. Overdose.
Perfezione. Gemitaiz.
Il rap è il substrato migliore per guardarsi indietro con occhi nuovi. “La mia innocenza è tossica” rappresenta inno e cicatrice.
Difficile catalogore Microchip Temporale.
Non è un album tributo, né una semplice operazione commerciale, né una racconto nostalgico. Non saprei dire le sensazioni provate nell’approcciarmi al disco. È la tachicardia del ventenne che diviene smania entropica nell’over trentenne. Sono giorni e strade passate che si fondono con le prospettive di oggi. La paura che si scontra con altre paure, le speranze che si scontano con altre speranze. Microchip temporale è fluire costante, incessabile. È altro DNA che inizia a codificare.
C’è ancora da scavare.
Si ringrazia Ornella Cannavacciuolo per aver presenziato alla conferenza stampa presso gli studi Sony e per gli appunti presi