Rapper, cantautore e produttore, Dargen D’Amico è stato definito in più occasioni come uno dei rappresentanti maggiormente eclettici e poetici della scena cantautorale italiana contemporanea. Un artista con ben dieci dischi all’attivo, ma al quale il grande pubblico di Sanremo non era comunque preparato. L’abbiamo visto salire, ormai più di due mesi fa, sul palco dell’Ariston, con tanto di completi colorati e gli immancabili occhiali da sole. “Sarà il nuovo fenomeno” commentavano silenziosi gli occhi della platea. “Ma sì, un po’ come i Pinguini Tattici Nucleari o Lo Stato Sociale” asserivano i sorrisi di circostanza che ne accompagnavano gli applausi nel pre-esibizione.
Poi però abbiamo visto quegli stessi applausi tenere il tempo di una canzone impensabile, fino a pochi anni fa, per quel contesto. Una hit dance che, allo stesso tempo, fra ritmi serrati e versi forsennati, denunciava la condizione sociale e umana sofferta dal mondo intero per ben due anni, a causa della pandemia. E quegli stessi sorrisi di circostanza, già dalla prima sera, si aprirono in un “Pa, pa-ra-ra, pa-ra-ra, pa-pa” collettivo e spontaneo, che nemmeno i più seriosi erano in grado di controllare.
L’album che a quell’esperienza doveva fare eco è stato dunque non solo molto atteso, ma anche desiderato ardentemente. E da un pubblico molto più vasto di quanto lo stesso Jacopo si aspettasse.
Il 4 marzo scorso – e non del 1943, anche se Lucio Dalla è sempre stato (a detta dello stesso Dargen D’Amico) un punto di riferimento – ecco quindi uscire per Universal Nei sogni nessuno è monogamo, ultima dirompente fatica del rapper milanese.
“Noi siamo una tragedia che fa ridere, questo volevo dire” ha commentato Dargen pubblicando il suo lavoro. E in effetti, già dal titolo, l’inevitabilità di questo quadro appare più che evidente. Perché è vero che nei sogni nessuno è monogamo, anche se probabilmente i più perbenisti lo negheranno fino alla morte. Ma poi c’è anche l’amore, quello che si vive e non si canta: quello che ci fa uscire dal sogno, entrare nella realtà, e sostare in quella felicità reciproca che troviamo solamente in un unico sguardo – almeno finché dura quello sguardo. La cosa bella del nuovo album di Dargen D’Amico è proprio questa. Possiamo leggere fra le righe del suo sarcasmo per trovarci dentro verità più profonde. Quasi che proprio la leggerezza di musiche e testi riesca a farci sorvolare luoghi che altrimenti, da terra, non riusciremmo mai a scoprire veramente.
“Patatine”, la prima traccia, è forse la riflessione più dolceamara.
Un brano dipinto fra le paranoie e la voglia di evadere che caratterizzano prima o poi le vite di chiunque. Quasi come se, con la prima traccia, già si volesse in qualche modo descrivere il punto da cui partire per liberarsi, tramite la musica, delle proprie “tragedie che fanno ridere”.
Tragedie, talvolta, dettate dagli incontri sbagliati che ci sembravano giusti. Sei cannibale ma non sei cattiva parla proprio di questo: una donna spietata e affascinante allo stesso tempo, costantemente annoiata. Ma forse, più annoiata da se stessa che dagli altri. E, mangiando i sentimenti di chi la circonda, non fa altro che mangiare pezzi di sé senza riuscire a “digerirli” mai.
E mentre Gaza e La benzina sapeva di tappo denunciano quella società urbana di cui l’autore sente di non far parte, fra violenza, soprusi ed ingiustizie, Katì – brano peraltro già edito – racconta un’altra realtà di cui far parte si rivela non solo difficile ma addirittura impossibile. Vi è qui un amore fatto di litigi e riappacificazioni, di parole sbagliate e di incomprensioni, di sesso e di passione. Insomma, un brano pervaso da quella tensione che mantiene alta la posta in gioco e rende una relazione apparentemente imprevedibile ma nei fatti prevedibile come nessuna mai – ovvero destinata a fallire. Come destinato a fallire è anche il rapporto che lega i due protagonisti di Ustica. Una storia di non appartenenza reciproca, cui nemmeno il richiamo di un passato felice può fare da salvagente.
L’amore è al centro anche di un’altra canzone, Ma noi, dedicata ad una donna conosciuta al liceo.
E fra i ricordi della giovinezza e la constatazione di come si è diventati nel presente, i due protagonisti si rendono conto di quanto, alla fine dei conti, il desiderio che li univa un tempo non sia affatto svanito.
Ne La setta, il sentimento è invece declinato su un altro tipo di relazione. Il tema portante è qui quello dell’appartenenza che accomuna un gruppo di persone, sconosciute ma unite indirettamente dallo stesso modo di stare al mondo. Qualcosa di estremamente evanescente ma altrettanto efficace, perlomeno nella società liquida che Dargen intende ritrarre – riuscendoci peraltro benissimo.
E dopo aver condito il tutto con il brano sanremese citato in apertura – Dove si balla – e con la cover de La bambola presentata sempre all’Ariston – arricchita da barre impattanti e attualissime, Dargen D’Amico conclude il suo album proprio con la title track. Fra una velata citazione di Jovanotti (“la vita è un film straniero senza sottotitoli”, Fango) e un botta e risposta assoluto e sincero con se stesso, emerge forse il vero senso del disco e l’autentico messaggio di una musica sempre cangiante e ricca di stimoli come quella che vi è contenuta.
“La verità se la vuoi spiegare allora è una bugia” canta Jacopo.
La vita, se la vuoi spiegare, non sarà più vera di quando ti si presenta davanti, senza spiegazioni. Perché, in fondo, capire sempre tutto non è sempre necessario e “arrivare senza più il motivo per cui siamo partiti” non è poi così male. Quando si cercano le parole per definire ciò che si prova si rischia sempre di inscatolare le identità in convenzioni socialmente precise. E qui la monogamia è modello lampante. Scostarci dalla spiegazione per ritrovare l’essenza e viverla è l’unica cosa che conta, infine. Com’è accaduto al pubblico di Sanremo, mentre si alzava in piedi gridando quel “Pa, pa-ra-ra, pa-ra-ra, pa-pa”. Senza preoccuparsi di doverlo poi spiegare.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.