Non si può più fare a meno di Thru Collected nel discorso sulla musica italiana
I Magazzini Generali di Milano, mercoledì scorso, hanno ospitato la prima tappa del tour dei Thru Collected. La serata, epilogo del MI AMI CLUB TOUR 2024, ha dato il via a un roster di cinque concerti che hanno portato il collettivo indipendente, oltre che nel capoluogo lombardo, anche a Torino e Bologna, passando naturalmente domani sera anche da casa loro, Napoli e concludendo a Roma sabato 23.
I Thru Collected – o meglio, Thru Collected, senza articolo e al singolare, come preferiscono – è un cluster di artisti indipendenti nato a Napoli durante il periodo della pandemia. Sette i componenti: Alice, Altea, SANO, Lucky, il duo Specchiopaura, Giovanni Troccoli e Rainer. Nel 2021, pubblicarono Discomoneta, primo album composto da venti tracce. A fine 2023, è giunto il tempo de Il grande fulmine, seconda release e mastodontica opera di ben 30 (!) pezzi.
Il disco è stato presentato live per la prima volta in una serata corredata da ospiti tanto nell’opening, quanto durante il concerto e nell’after show. In apertura Anna and Vulkan, al suo primo live per sua stessa ammissione, e Angelo Kras. È toccato poi a Giovanni Truppi, che ha suonato accompagnato dalla chitarra elettrica qualche pezzo dal suo primo album, accompagnato sul finale da Sibode DJ. Quest’ultimo è stato anche il protagonista dell’after show, assieme a Troppo Kimberly.
Appena entrato nella venue del concerto, ho notato che l’età media del pubblico era certamente più bassa della mia – una situazione abbastanza inusuale, devo dire.
Al che ho formulato due pensieri. Il primo, che probabilmente sto diventando uno di quegli adulti che si guarda intorno nei posti che frequenta, e pensa sconsolato che sono tutti più giovani – e si domanda se, forse, non sia il caso di frequentare posti diversi. Il secondo – ben peggiore – che ero vicino a cadere in quello snobismo, talvolta meccanismo di difesa, che porta a definire un certo tipo di musica “musica per giovani”, senza nessuna volontà di comprendere o approfondire. Per cui, proprio per evitare di caderci, il mio racconto del Thru Collected esulerà da qualsivoglia commento su età anagrafiche, questioni generazionali e altri divari numerici.
La prima doverosa precisazione su Thru Collected – la seconda, per la verità, dopo la questione articolo – è che non è una band, ma un insieme di identità ben definite che si uniscono per dar luce a qualcosa di condiviso.
Un collettivo, appunto, a tutti gli effetti. Le personalità e le influenze musicale dei componenti sono ben riconoscibili. Alice è la voce più pop e calda. Gli Specchiopaura portano la trap dissonante e volutamente ostile, che sfiora l’hyper pop. Altea, figlia dell’R&B e del classic rock, porta riverberi musicali salentini (è l’unica, del collettivo, a non essere di Napoli). SANO è l’anima più emo-trap. Lucky porta il folk a sfondare i confini entro cui è stato rinchiuso negli anni. Accanto alla produzione congiunta come Thru Collected, ci sono delle release soliste che ulteriormente mettono in risalto i tratti caratteristici di ciascuno.
Poco più che ventenni, si sono conosciuti sui social durante il covid. Appena le restrizioni lo hanno consentito, sono andati a vivere insieme a Napoli, nel quartiere Fuorigrotta, dove hanno iniziato a creare qualcosa di inedito. I membri del Thru Collected curano l’interezza dei loro brani, dalla composizione, al canto, alla strumentazione fino alla produzione. Ma non solo: si occupano anche di arti visive (Il Grande Fulmine fu anticipato da un omonimo cortometraggio, girato da loro), di graphic design, di organizzazione di eventi e di produzione musicale – prima dell’ultimo album, uscito per Bomba Dischi, le release erano autonome.
Esaurite le precisazioni e le questioni formali, è tempo di comprendere perché penso non sia esagerato affermare che Thru Collected sta saldamente in cima alla lista delle realtà più interessanti e sorprendenti della musica emergente italiana.
I presenti al concerto li hanno accolti e ascoltati con la stessa riverenza, con le stesse domande di senso, e con la stessa fiducia che i fedeli rivolgono ai sacerdoti. Perfino Giovanni Truppi è salito sul palco prima di loro, a suonare Hai messo in cinta una scema a un’audience che quando uscì poteva avere tra i dieci e i quindici anni. Insomma, deve per forza esserci qualcosa di speciale.
Guardando oggi, mesi dopo l’uscita del disco, il cortometraggio de Il Grande Fulmine, è facile isolare l’hype, e accorgersi che quei venti minuti di film sono la perfetta sintesi del Thruco. In un’imprecisata ambientazione lunare post apocalittica, si susseguono i concetti fondanti dell’album. Primo su tutti, la collettività intesa come unione delle individualità. C’è poi Napoli, e il napoletano in transizione frequente con l’italiano. Fino ad arrivare alla violenza, all’underground, e alle scosse elettriche (metaforiche) a cui il titolo del disco – tratto da un verso del precedente lavoro – richiama.
Il Grande Fulmine è un lavoro inedito all’interno della musica italiana, strabiliante.
Nei trenta pezzi che lo compongono, si alternano una serie di generi disparati e diversi. Ma alla fine, vuoi per i membri del collettivo a fare da trait d’union mentre compaiono e scompaiono dai brani, vuoi per la qualità eccellente dei brani, vuoi per le mai dissonanti contrapposizioni tra l’elettronica e gli strumenti classici, vuoi per quello spleen post-adolescenziale onnipresente, è un album coeso e dall’identità precisa.
Il prologo è affidato ai due manifesti programmatici del Thruco. In Musica di merda, pezzo d’apertura, affiora la critica all’industria discografica che da sempre ne caratterizza la produzione. Serve musica di merda, ripetono ossessivamente nel brano, unico modo per stare tranquilli e mettere a tacere le logiche discografiche e le regole del mercato. Che fine ha fatto l’underground, s’’o chiedevano ‘e guagliune pe ffore ‘e locale – probabilmente è in questo disco, viene da rispondere.
Terza stagione, il secondo pezzo, è la loro carta d’identità. Cantano le cinque anime fondatrici del collettivo. Parte Alice, seguita da Lucky Iapolo. Arrivano poi gli specchiopaura con le loro classiche strofe in napoletano, la quinta strofa è di Altea e l’ultima di SANO. Mentre esplicitamente rimandano alla loro firma per un’etichetta, ripetono che serve ‘a voce e na ggenerazione – e forse l’abbiamo trovata, viene da pensare.
Il Grande Fulmine è anche, e soprattutto, un album in cui l’anima cantautorale è evidente.
La si incontra dentro pezzi che sono un sequel della golden age dell’itpop (qualunque cosa sia stato, e qualunque sia il nome da dargli, ma ci siamo capiti), tanto nei suoni quanto negli hook memorabili e ad effetto. Sono parte evidente di questa wave brani come Raw dogging, Sotto la punto, 19 e Tutto lo spazio.
Questo nuovo cantautorato, tuttavia, è cangiante, e assume morfologie variabili, pur restando una dimostrazione di quello che l’itpop può essere nel 2024. Piccolo atto di sensibilizzazione al libero pensiero, per esempio, possiede una produzione emo-rock. In Aida e in Gabbia respiro, Lucky Iapolo porta nel disco la sua anima folk, classica nel primo brano e in dialogo con l’elettronica nel secondo.
Non è solo in questo, tuttavia, che si percepisce l’anima cantautorale. Il cantautorato della primissima ora, fondamenta dichiarata degli ascolti dei membri del Thruco, è vivo e lotta con noi (e loro). Talvolta in modo voluto – in Psytrance vengono citati gli Smashing Pumpkins. Talvolta in modo forse più casuale – la costruzione del cantato di Psytrance ricorda nettamente La canzone del sole, la produzione e l’armonia di Aida rimandano all’omonimo brano di Rino Gaetano.
Un discorso a parte merita Pistola, il pezzo più popolare. Ti regalerò una pistola in modo che tu possa proteggermi ripete il ritornello, su un arrangiamento indie-rock. Ai più nostalgici verrà subito in mente Come Vera Nabokov dei Cani. Ai meno nostalgici verranno in mente le polemiche sulla violenza nei testi trap e rap – di cui, da bravi ventenni, Thru Collected se ne frega. Fatto sta che, in questo pezzo e in questo verso, c’è molto di quello che sto cercando di raccontare in questo articolo.
Thru Collected nasce dalle contraddizioni dell’epoca di internet.
A livello musicale e testuale sono proprio le contraddizioni a popolare e a far crescere il disco. Accanto all’anima classica e cantautorale descritta poco fa, c’è spazio certamente per l’elettronica, una costante in tutto il disco. Ma soprattutto, trovano il loro posto una marea di influenze diverse. In pezzi come Clout e Grata Ellie compare l’hyper pop. Milano è un folk-trap dissonante e disturbante. Altea è foriera di una vocalità spettrale nei super-elettronici Sembri quasi me e Testarossa. Guinzaglio sfocia addirittura nell’emo-punk. Ti credo che tu cedi è un brano minimal-electronic pieno di riverbero vocale.
Il brano che a tutti gli effetti eleva Thru Collected da ottima realtà emergente a qualcosa da tenere d’occhio come non si teneva d’occhio da un bel po’ di tempo è l’epilogo, A danz ro ragn.
Un brano world music, che si regge sull’hook Kiagn Semp Napoli. La canzone tradizionale napoletana portata da SANO e dagli specchiopaura incontra la tradizione salentina di Altea. Ed ecco che la danza del ragno è una musica napoletana prima, una pizzica poi, una sintesi hegeliana delle due alla fine.
I Thru Collected hanno sicuramente bisogno di rodarsi ancora un po’ nella dimensione live. Qualche problema audio c’è stato in diverse tappe, e dietro le prime file a volte la soglia dell’attenzione scendeva un po’ – colpa anche dell’acustica non impeccabile.
Tuttavia, quello che li rende così forte è il fatto che, quando li ascolti o li guardi, ti viene una voglia matta di farne parte. Ti viene voglia di farti travolgere dalla magnitudine dei loro pezzi, di scovare tutti i meta-testi nascosti nelle liriche, di osservarli e di esperirli. Non si può più fare a meno di parlare dei Thru Collected, nel discorso sulla musica italiana.
Filippo Colombo
Predico bene razzolando insomma, mi piace mangiare la pizza a colazione, odio i concerti dove si sta seduti.