Il primo disco degli Hiroshi. è un collage di memorie sinestetiche
Una storia artistica lunga cinque anni e l’urgenza espressiva di chiudere un cerchio attraverso la pubblicazione del primo long play: gli Hiroshi. si presentano con nove tracce pubblicate dalla Nufabric Records, il nome dell’album è “Anything”.
Un termine che racchiude l’intero concept di questo lavoro in studio di registrazione: in inglese, il significato bivalente di “ogni cosa” e “niente” si rispecchia tanto nel versante lirico quanto in quello musicale per il gruppo marchigiano. Parole sussurrate, verbalità ariose e dal forte senso inclusivo colorano le tessiture sonore, vero punto di forza dell’ascolto. La matrice shoegaze e dream pop della band evolve verso lidi caleidoscopici, spinti da performance muscolari dove il suono incontra il punk, l’alt-rock ed anche declinazioni jazzistiche.
Il luogo comune delle composizioni strumentali come rischiose qui viene schiacciato dalla forza creativa e dal peso delle stratificazioni sonore: è un ascolto sinestetico, nel quale perdersi percependo immagini e sentori cinematografici. Esemplari, in tale contesto, i brani “Days” (scelto anche come singolo di presentazione dell’intero disco) e “Intimate”, ma la sensazione di forte coerenza rende sfida ardua la scelta di un singolo brano che possa elevarsi a scapito degli altri.
Al congedo delle ultime note di “Shapes” (closing track della release) è accaduto qualcosa di molto eloquente: il disco ha ripreso a suonare dalla prima traccia, e praticamente non me ne sono accorto. Questo la dice lunga sulla qualità d’ascolto, che dispone bene ad un (ri)ascolto immediato nel quale abbandonarsi senza soluzione di continuità.
È stato un piacere conoscervi, Hiroshi.; l’auspicio è continuare a seguire le pubblicazioni di questo progetto che merita attenzione agli sgoccioli di questo anno a dir poco funesto. Magari non dovendo necessariamente aspettare un altro lustro.
Ciao ragazzi, prima di focalizzarci sull’album volevo soddisfare una piccola curiosità: com’è nato il nome Hiroshi.?
Il nome Hiroshi. nasce senza troppe premeditazioni come una citazione di un film che stavamo guardando proprio mentre il concept della band stava prendendo forma. Il film è “Restless” di Gus Van Sant. Il personaggio del fantasma di un kamikaze della Seconda Guerra Mondiale ci aveva particolarmente affascinato, il suo nome era Hiroshi e da lì è nato tutto.
Passando al disco, è interessante il gioco di parole attorno ad “Anything”. Nel contesto dell’album, è più affine il significato inclusivo di “ogni cosa” oppure il “niente” che porta alla decostruzione?
Per capire il gioco di parole di “Anything” basta partire dall’artwork, che si configura come una sintesi del concept dell’album stesso. La nuvola è per antonomasia l’oggetto senza forma al quale, fin dall’infanzia, attribuiamo un significato o immagine mentale. In parole povere, si pensi al classico gioco del cercare una forma nelle nuvole, per cui lo stesso oggetto indefinito assume per persone diverse un diverso significato.
“Anything” nasce quindi come un collage di memorie, dei frammenti che cambiano di significato a seconda della prospettiva da cui li si osserva, un po’ come avviene coi ricordi e le esperienze della nostra vita.
Un equilibrio sostenuto dai dualismi, in bilico tra due forze, che rappresenta la stessa precarietà di chi attraversa la soglia dei trent’anni. In tale ottica, puntate ad un disco generazionale o che sappia essere condiviso da fasce di ascoltatori eterogenee?
L’album si rivolge prima di tutto a noi stessi. Scrivere “Anything” è stato come mettere su un supporto tangibile tutte le nostre passioni ed esperienze, con la consapevolezza che queste saranno poi condivise con chiunque voglia ascoltarle. È in questo senso, quindi, che il disco si rivolge a fasce di ascoltatori eterogenee, ognuna delle quali interpreta poi il materiale a seconda della propria sensibilità, esattamente come quando leggiamo un libro alle scuole superiori e lo riprendiamo anni dopo trovando nuovi significati: il libro è lo stesso, siamo noi ad essere cambiati.
Abbiamo definito nella recensione l’ascolto come “sinestetico, nel quale perdersi percependo immagini e sentori cinematografici”. Quali sono le vostre influenze artistiche principali?
Abbiamo scritto “Anything” provando a lasciare uno spazio sufficiente all’ascoltatore, che gli consenta di creare il proprio immaginario visivo attorno a ciò che sta ascoltando. Siamo contenti che questo si percepisca. Una delle nostre fonti di ispirazione principale in questo senso è il cinema. Il mondo delle colonne sonore, che si ripropone più o meno velatamente all’interno dei nostri brani. Per quanto riguarda la scrittura dei testi ci siamo ispirati a William Gibson, Italo Calvino, J. D. Salinger, J. L. Borges, Matt Groening, Cesare Pavese.
A livello sonoro e di composizione musicale ognuno di noi ha dato un proprio contributo alla composizione dei brani attraverso le proprie suggestioni ed idee. Ascoltiamo musica di vario genere, il nostro flusso compositivo è un continuo tentativo di miscelare sonorità che poi nel tempo prendono forma e si amalgamano tra di loro; in partenza non ci diamo limiti che possano compromettere la creatività e la libertà nella composizione dei brani. Di sicuro per ispirazione dobbiamo tanto a Radiohead, Tycho, Four Tet, Animal Collective, Notwist.
Chiudere il 2020 pubblicando un disco per poi approcciare il nuovo anno con quali progetti? Cosa c’è in cantiere per Hiroshi.?
In questo momento siamo focalizzati sull’uscita e la promozione del disco, con tutto il lavoro che c’è dietro. Molte di queste attività sono nuove per noi, ma ci stiamo abituando in fretta. Ad ogni modo, la cosa che aspettiamo di più è di poter portare “Anything” sui palchi, perché in fondo è lo scopo per cui questo album è stato concepito.
Nel frattempo passiamo le giornate a lavorare a distanza su nuove idee e nuovi brani