Il tempo può essere classificabile come una delle più grandi invenzioni dell’uomo. Una convenzione che può essere definita sia in modo positivo, perché scandisce l’esistenza e dona ordine, ma anche in modo estremamente negativo perché mette fretta, fa fare le cose male, soprattutto in una società complessa quale è questa post-moderna, genera caos. Il tentativo è correre per non perdere tempo, ma si arriva spesso con il fiatone, fino a perdere occasioni per comunicare e comprendere meglio l’altro e se stessi. È questo che ci racconta Rènico, al secolo Enrico Guerrieri, classe ‘97, tramite i testi del suo primo Ep uscito lo scorso 15 maggio per Discographia Clandestina.
“Cinquecento” è composto da cinque canzoni dal gusto squisitamente cantautorale nostrano vecchia scuola ma con groove spiccatamente americaneggianti.
Un Ep il cui sound era stato già largamente anticipato dai tre singoli usciti tra gennaio e aprile scorsi. Infatti con Complanari già ci si poteva fare un’idea chiara di quel ritmo cadenzato che caratterizza Rènico e che non si discosta mai da una predisposizione pop. Qui il tempo scandisce i momenti in una relazione che ha bisogno di prendere vie traverse (complanari, appunto) per poter continuare. “Come se al tempo fregasse qualcosa dei nostri problemi irrisolti”, infatti “non c’è più tempo, per stringerti le mani ho costruito per te più di mille complanari”.
In Dove non ci sei, apparentemente più scanzonata, il tempo invece viene sospeso e fa da cornice alla mancanza in tutte le sue forme, “e ora mi ritrovo steso a raccontarti di quel posto, di mio nonno o del mare quanto è blu”.
Stendino è il terzo singolo che ha anticipato l’Ep ma è anche la canzone che lo apre. La canzone “radio edit”, pensata ad hoc, è quindi forse la più allegra dell’Ep: con un ritmo pop rock furioso affretta un testo disilluso e vagamente malinconico. “Sul mio stendino appendo le mie parole” è una sorta di mea culpa e un invito a lasciarsi andare senza timore, aprirsi per comunicare meglio.
Hai mai chiede una pausa. È una resa malinconica dai ritmi lenti, una ricerca di quiete interiore che rispecchia in toto i canoni della canzone d’autore. “Hai mai visto con gli occhi degli altri il tuo sorriso che effetto che fa?” che però è intraducibile nella realtà: resta un desiderio insoddisfatto. “Sarebbe bello fermare il tempo, dove un secondo che passa è un anno, dove cambio casa, umore e lascio tutto come mi va”.
Cinquecento, la title track ci fa immergere completamente nello stile delicato e disilluso del cantautore. “Cinquecento è solo un sogno che ci accompagna al risveglio”, è un inganno, ma “per fortuna non voglio niente di più”.
Rènico, in Cinquecento, con l’aiuto di RafQu (LeFrasiIncompiuteDiElena) nella produzione e missaggio, ricerca in modo genuino, la maniera giusta, più adatta al suo essere, per esprimere in modo assolutamente non patinato le preoccupazioni di una generazione figlia di questi tempi, una generazione afflitta dalla fretta, dalla ricerca di un’identità che sia adatta alla società post-moderna, la ricerca di un’identità liquida, quindi una ricerca lunga tutta una vita che può portare a un senso di incompiutezza. Quindi denuncia il bisogno di prendere tempo per riuscire a tornare a stupirsi davanti alle cose, ma anche la paura di perderlo.