Stupide cose di enorme importanza: l’egocentrismo emotivo di Marco Giudici
Il passaggio all’età adulta, il mollare gli ormeggi verso isole inesplorate. In questo indispensabile rito immortalato in miriadi di canzoni e film, ruolo privilegiato è interpretato dalle nostre camerette, culle claustrofobiche e prigioni accoglienti. Ognuno di noi, nel lasciarle, ricorda con estrema nostalgia quante scatole, quanti libri o fumetti resteranno confinati su quelle mensolette. Le penne e le matite più colorate, i libri che avremmo voluto leggere, quei maglioni che non possono seguirci nei nostri viaggi da grandi. Il grande tesoro costituito da piccoli ninnoli, pezzi che pensavamo ci avessero seguito e che poi sarebbero diventati una enorme marcia funebre della nostra giovinezza. Eppure, son bagattelle che hanno rappresentato tanto per quel pezzo di viaggio già percorso: scatole piene di affetto da andare a riaprire a Pasqua o Natale, quando il nido casalingo ci riabbraccia. “Stupide cose di enorme importanza” è il titolo del nuovo album di Marco Giudici, cantautore milanese prossimo ai trenta anni.
Non aver più paura dei ragni o dei viaggi rappresenta il diventare grande, il prendersi le proprie responsabilità.
Crescere, aprirsi al mondo senza sovrastrutture o maschere. Marco Giudici, polistrumentista (è il bassista degli Any Other) e anima creativa del progetto Halfalib, rinuncia a ogni segreta identità e si lancia senza protezioni in uno stagno torbido. In questo, Stupide cose di enorme importanza è ferita e cerotto allo stesso tempo. Marco riesce a trasmettere la sensazione di smarrimento e autoisolamento legato ad esso (il letargo, il parlare nel sonno) perché funzionali alle paure che lui stesso ha dimostrato conoscere.
Punto chiave dell’album è la commistione di tutto, come fosse una visione politeistica dell’anima di Marco. L’artista che traccia il proprio percorso, ne porta i segni addosso e ne contempla le cicatrici. Nella transizione verso la maturità, dimenticare è anche curare e viceversa. Le stupide cose di enorme importanza che ognuno porta con sé divengono un luna park di emozioni e paure: Marco lo sa. Non esiste paura che non riposi nascosta in un ricordo mercificato o semplicemente accantonato.
Il romanticismo dell’album si spinge alle estreme conseguenze del termine.
“L’idea di libertà come fondamentale esigenza dell’individuo” è intesa come prosecuzione del proprio viaggio, valutando l’impatto dei luoghi e delle persone sul proprio iter. In questo, il video che accompagna la title track, è tutto incentrato sulla visione di Marco, che non pretende di insegnare nulla o sparare metafore altisonanti. Viviamo la canzone attraverso i suoi occhi, i suoi pensieri. È così essenziale, così vicino al cuore del testo e anche così emotivamente egocentrico.
Stupide cose di enorme importanza si caratterizza infatti per essere ogni singolo battito di ciglia di Marco, capace di fotografare un passato e un passaggio dal passato al presente, dal letargo alla stretta più forte di un’amica indispensabile. È la traccia 9/9, chiusura del progetto e virtuale chiusura della flebo di ricordi.
“Per chi dorme” è la traccia che bensì apre il lavoro.
Ermetica, metafora di un viaggio che diviene sempre più profumo e meno confine. Spremuta d’arancia e Risaie amare sono lati di uno stesso quadrato: vi si affronta, graffiante, il tema onnipresente della crescita, dell’impatto tra infanzia e le devastazioni dell’età adulta. Marco è dappertutto: parla a sé stesso e si denuda dinnanzi a noi, lo stesso avviene da parte nostra. Il bimbo che si sporge per sapere se il profondo è davvero profondo è una delle metafore più pregnanti dell’album. E poi, il colpo di pistola, il lungo intermezzo di “A volte io mi sento solo”. C’è Halfalib, c’è il silenzio rumoroso di Marco. È un album complesso, da lenta metabolizzazione.
Accompagnati da una musica onirica e che avvolge come un braccialetto brasiliano, cullati e storditi da una scrittura quasi dialettica ma dal piglio fotografico. Nei giorni così, quasi sussurrata e con pause che servono a riprendere fiato, racconta di ferite medicate male, di volti che inglobiamo per dimenticarli, di ricordi suturati con fil di ferro. Marco racconta a sé stesso la forza di rispondere al dolore, ad un addio non voluto e non cercato proponendo una forma musicale fatta di carezze corrosive che isolano le emozioni del grande libro della vita. È la vita delle camerette, degli specchi appannati, delle parole mezze sussurrate.
“Forse è un grazie“ è la mia personalissima scelta.
Il testo più sanguinoso e doloroso, il punto più alto del pessimismo amoroso di Marco. L’amore, le lacrime che divengono accettazione. Una morte che non fa più male, al riparo dalle luci della città. È una traccia da ascoltare osservando le proprie mani, i capelli bianchi. È un viaggio che esplode nelle viscere più profonde del corno di Ammone e ci rasserena le lacrime.
Alla fine è passato un amico è una traccia sperimentale, il cui testo oscilla tra uno strano tedesco e una voce in reverse. Meraviglioso il sottofondo musicale. Marco sa suonare, sa giocare con i suoni e sa quando colpire. Non in malafede, ma perché, semplicemente, è giusto così. In Pallonata con fotografia il pretesto di un piccolo incidente racconta la cascata che ci possiamo trovare a fronteggiare d’improvviso. Il testo, quasi scherzoso, nasconde l’insidia della responsabilità del trovare le forze dentro la propria anima e sopportare “un naso rotto”. Testo ricercato e criptico, è il fanciullino che si ribella e poi torna a guardare il mondo con occhi sognanti.
Esordio complesso e sincero. Lavoro adatto ad ogni luogo, lago e stagione. Un cuore batte in media tre miliardi di volte in una vita: senza pause, consapevole che ogni ferita o cicatrice può abbatterlo senza fermarlo. Sarebbe il buio, la fine. Anche Stupide cose di enorme importanza è soggetto a questa forza intrinseca: nulla può fermare il nostro racconto, nulla può essere lasciato al caso.
Ciao Marco. Stupide cose di enorme importanza rappresenta una sorta di preghiera laica, una intima chiacchierata tra te e il mondo. Come nasce un titolo così evocativo?
Nasce in modo rapido. Una prima versione del testo della canzone l’ho scritto su Whatsapp ad un amico, che mi ha risposto con una seconda versione secondo la sua sensibilità. Entrambi abbiamo perso la memoria digitale di questo momento, ma mi pare di ricordare che io ho espresso il concetto e lui ha rimescolato le parole in questo modo. Poi una volta una persona mi ha chiesto se il titolo del disco fosse proprio quello e senza pensarci ho risposto di sì.
Il tema del distacco e della crescita. Quando hai capito che “stavi diventando grande”? E a chi senti di dover dire grazie?
A nessuno di particolare. Comunque l’ho capito dopo che ho finito questo disco. Ho iniziato a scriverlo che abitavo dai miei genitori ed è stato chiuso a febbraio. Di mezzo ci sono alcuni mesi in cui ho vissuto in giro per delle produzioni, il costruire uno studio ed il trasferircisi, il tour con Any Other, sempre con delle produzioni all’attivo. Quando ho avuto modo di prendere coscienza di tutti i cambiamenti che sono conseguiti a queste cose, ho avuto la sensazione di essere invecchiato.
Le tracce sembrano trasudare di vulnerabilità, di piccoli passi e traguardi. Ti senti fragile? Come artista senti il peso di dover comunicare qualcosa al mondo o c’è la paura che questa cosa possa ferirti?
Mi sento vulnerabile e ci tengo a restarlo. Per me la vulnerabilità è una condizione in cui ti fai toccare dalle cose, sia che facciano ridere o piangere, e che ti permette di percepirne il valore.
Essere vulnerabili. È difficile mettersi a nudo in un mondo di modelli perfetti, in cui le nostre storie Instagram sono tutte perfette?
Non sono d’accordo con la perfezione – a meno che non sia l’esasperazione della perfezione, che ha un valore per me diametralmente opposto – quindi no, lo faccio senza problemi.
“Stupide cose di enorme importanza” riesce a dipingere uno scenario così vivido che sembra quasi di essere in un film. La capanna sul mare, te che dormi, le piccole ferite. Se fosse davvero una pellicola, quale sarebbe?
Non lo so, purtroppo non ho dei paralleli con il cinema, mi sento sempre di non saperne abbastanza. Ti so dire però che immaginerei qualcosa di narrativamente statico, con tanti primi piani, colori vividi al limite del sopportabile.
Mi collego alla domanda precedente. Il video della traccia è emotivamente egocentrico. Quale è stata l’idea che ha portato alla sua realizzazione?
L’interpretazione dell’idea è frutto del lavoro di Adele. Quando ho iniziato a scrivere, un segnale ricorrente che ho poi identificato come positivo era quello di sentirmi in imbarazzo. Sentivo che mi sbloccava mettere le dita nelle piaghe e che poi mi ritrovavo in quello che avevo fatto, e soprattutto mi faceva stare bene. Ho un rapporto negativo con il mio corpo, quindi credo che stia qui una delle motivazioni, esporlo mi ha destabilizzato e son felice del risultato.
“Forse è un grazie” è una traccia terribile, colorata di tetra pacificazione. Che rapporto hai con gli addii? Lo scorrere del tempo, la possibilità che ci si possa perdere qualcosa per strada?
Il testo di questa canzone è un regalo di un amico, con cui devo dire che ho empatizzato istantaneamente.
Personalmente ho un rapporto orribile con gli addii. Con il passare del tempo va un po’ meglio, crescendo mi sto sempre di più allontanando dal vivere con ansia questa cosa, spesso va bene che vada come è andata e idem penso delle cose perse per strada. Però sono anche dell’idea che le manifestazioni emotive istintive e razionalmente smisurate possano avere un senso profondo di celebrazione.
Cosa ne pensi dell’attuale panorama musicale italiano? A chi pensi possa piacere il tuo lavoro?
Non lo so, non ci penso. Quanto alla musica italiana, sinceramente mi sembra che si sia cristallizzata una formula e che quindi molte cose ce le dimenticheremo presto.
Se fossi un supereroe, quali super potere vorresti? E perché?
Vorrei trovare una soluzione alla pigrizia fisica, quindi qualcosa tipo spostare le cose senza muoversi, compreso me stesso.
Consigliaci un disco e un libro.
Disco, primo album di Tricarico: per quello che dice, come lo dice e per il contrasto assurdo con l’estetica musicale.
Libro, Chthulucene di Donna Haraway.
La foto in copertina è uno scatto di Giulia Bersani