Irbis37, “Un altro cielo” è un disco d’amore cresciuto in strade difficili
Un’aquila e un drone. Faccia a faccia: sullo sfondo un cielo viola algido e algebrico. È la sfida distopica tra natura e tecnologia, tra un cuore che batte e una rete neurale che tesse traiettorie perfette. È la metafora, vivida e stilizzata, di uno stile musicale che evolve senza sosta, affidandosi alle innate capacità vocali e al supporto tecnologico-informatico. Stiamo parlando della copertina di Un altro cielo di Irbis37 e dell’evoluzione, evidentissima, della trap.
Ritornando alla copertina e al titolo, sembra quasi che il gruppo milanese voglia informarci che qualcosa è cambiato, che le sonorità di Schicchere hanno subito una destrutturazione. Un altro cielo, appunto. Cambia anche la forma presentata: è il primo album frutto di un lavoro organico e di una produzione che ha abbandonato le atmosfere garage dei primi EP per “crescere” e “diventare grandi”. In effetti il tema della crescita e della necessaria fine dei venti anni (cit.) è presente in molte delle tracce del disco e squarcia il velo sulla definizione dello stile attuale. Se è presente davvero questa evoluzione, come classifichiamo Irbis37?
La trap è di per se un fenomeno per sua natura anarchico.
Se le basi sono da ricercarsi in tutto l’enorme calderone biblico da cui nasce, è pur vero che spesso ci approcciano ad esso con diffidenza. Non per le tematiche (sdoganate anche da un certo pop estremo), non certamente per il linguaggio. Certe latitudini musicali ci fanno sentire vecchietti: c’est la vie. Nel caso di Irbis37, la scrittura trasmette grande empatia nell’ascoltatore. La nostalgia e la malinconia riescono a dipingere paesaggi vividi, reali.
Bacio, prima traccia dell’album, è di “formazione”: racconto di un’amicizia passata tra mura difficili. Uno sguardo sulla periferia, su chi si è perso (ma se penso un minuto a come sei finito, fra, mi sale l’odio) e su quanto l’istinto di sopravvivenza sia fondamentale. Malinconica, attuale. Mentre dormi è ancor più cupa (voglio una pistola per spararmi in mezzo agli occhi): la richiesta è di essere ascoltato senza pensare a sovrastrutture eccitanti come il morire giovani. L’incomunicabilità, la vita difficile ma con la voglia di riscatto tipica di queste geometrie musicali è lo scheletro portante di Gatta nera: “siete tutti burattini, siamo tutti burattini” non rappresenta una sconfitta ma una presa di posizione netta e una ammissione di colpa e riscatto.
Che furba apre lo sguardo su una parete ancor più intima e fragile.
È la traccia che più rappresenta Irbis37: le regole della narrazione trap si fondono su una scrittura malinconica e disillusa (ti ho regalato la parte di me peggiore). È la Dream Trap: la ferita aperta, il sangue che lava la pelle sudata. Si resta di sasso, colpiti e storditi dal pugno. Ti accompagno in zona è “sporcata” da sonorità e rumori di fondo difficili da trovare in produzioni simili: “oggi, come ieri sei sola” non ha bisogno di spiegazioni. Una traccia scarna, quasi figlia di un ermetismo musicale tipicamente italiano. Fame da lupi e OsaOsa sono tracce più canoniche: la prima riprende il tema della protesta e della necessità di restare a galla in un mondo ostile. Nella seconda interessante l’utilizzo della “Regina di Saba”. Una donna? Se stesso? La voglia di musica? Ognuno può trovare la sfumatura adatta.
Tra me e il resto rielabora un senso di cupezza quasi senza ritorno: “per il resto sono uomo, nasco e muoio giudicato”. È la traccia più complessa, più onnicomprensiva, con un testo e un sottobosco musicale decisamente oltre la media. Domani notte sembra il risveglio dalla precedente: un suono che ricorda un battito cardiaco, domande e riflessioni prima dell’alba. Quei seni, traccia che chiude l’album, è la mia preferita: lo ammetto. È forse, al di là di tutte le parole spese, la sintesi perfetta della attuale parabola di Irbis37. Lo sfondo (sono in fuga da sempre, come un cane randagio), la malinconica tenerezza con cui ci si approccia ad un concetto così complesso e impalpabile come il respiro condiviso, la redenzione. È uno sguardo sulla musica post-ubriacatura indie? Una canzone d’amore cresciuta in un campo difficile? Sarà quel che sarà, la traccia è calda e suadente. È L’Aquila che abbraccia alla fine il drone per trasvolare la Bovisa?
Un album da ascoltare e conservare gelosamente. Molto probabilmente sarà, molto presto, un punto d’arrivo o un punto di partenza. Matita e gomma da cancellare.