I Sumeri non sono soltanto un’antica civiltà mesopotamica, destinata a scomparire dalle nostre mappe cerebrali dopo la quarta elementare insieme ad Assiri e Babilonesi. No, i Sumeri sono anche (oserei dire soprattutto) un neonato progetto musicale, che vede la collaborazione di Luca Di Cataldo e Francesco Roggero (aka Auroro Borealo).
Nei mesi scorsi, abbiamo imparato a conoscerne più da vicino le caratteristiche. E lo abbiamo fatto grazie alla pubblicazione di ben tre singoli: “Chiamatemi Gaucho“, “Sette notti” e “Ragazzo triste dimezzato“. Ma nulla poteva davvero prepararci a ciò che stava per arrivare.
Mentre su Netflix assistiamo al duello fra la Cesenatico di “Summertime” e una Riccione sotto il cui sole si dipana la nuova sceneggiatura di Enrico Vanzina, “Willkommen Rimini” dei Sumeri è un album che, già dal titolo, suggerisce la chimera di un non luogo. Quasi fosse il cartello stradale che dà il benvenuto in una riviera romagnola riscopertasi tedesca.
I Sumeri si sono presentati alla nostra redazione in un modo piuttosto curioso.
“Luca voleva scrivere canzoni in italiano e Auroro gli ha fatto vedere come farlo nella maniera sbagliata”
Per inciso, nell’esatto istante in cui mi è stato inoltrato il loro comunicato stampa, la mia casella di posta elettronica ha smesso improvvisamente di funzionare. E ciò è bastato a persuadermi del grande potere che questo lavoro si dimostra in grado di esercitare sulle cose del mondo. Ma un disco che si apre con la promessa di non avere prole, chiudendosi invece con un figlio concepito in Egitto, ha già un che di miracoloso e affascinante.
Come descrivere questo magnetico esordio, allora?
Lo-fi di qualità (paradosso), cantautorato psichedelico (altro paradosso), il tutto strizzando l’occhio all’it-pop degli ultimi anni. Sembra proprio che soltanto con gli ossimori si riesca a dar ragione di un album che mescola l’oggi al domani. Dove per domani si intendono anzitutto le visioni di un ieri che si rivelano quasi sempiterne. Sonorità anni Ottanta, atmosfere estive dei tormentoni anni Novanta e vocalizzi eterei a là Franco Battiato. Un Battiato omaggiato, fra l’altro, nel testo di “Demiglace“, con un “cuccuruccucu assioma” in grado di trasformare l’irriverente e geniale nonsense del Maestro in un altrettanto irriverente e geniale nonsense sumerico. Così anche “Brutta signora“, che prende in prestito un accenno alla maglietta fina di Baglioni per rivestirla di maglioni elettrici, come le sonorità che permeano il brano.
In “Sette notti” abbiamo cambiamenti che vanno di pari passo con gli spostamenti del Nilo. E poi ciechi rapinati alla stazione, ayahuasca a colazione e vestiti tolti con il boomerang.
Potremo andare avanti ad ascoltarla per ore e ogni volta ci racconterebbe una storia diversa.
“Ragazzo triste dimezzato” conserva nel titolo il quarto libro mancato della trilogia calviniana. E certo non credo di poter mai ritrovare un Albano così facilmente e perfettamente accostato al Daddy Yankee di “Gasolina”. Con un brano dal titolo “Nazca“, abbiamo poi sfiorato lo scontro di civiltà. Ma è con “Chiamatemi Gaucho” e “Casanova” che i Sumeri riescono a cavalcare la giostra impazzita delle nostre sinapsi. Sinapsi che si ritrovano a cantare durante tutta la giornata ritornelli come “ti piace far festa con gli ormoni in tempesta” o “Casanova cha cha cha”. Sinapsi incapaci ormai di smettere, esattamente come noi.
“Se vi fa ballare, ridere, scopare, uscire di casa, vivere un po’ meglio, diventare politeisti, diventare monoteisti, diventare Mauro Biglino, iscrivervi a filosofia e frequentare solo il corso di antica e medievale o spogliarvi di tutti i vostri beni terreni, avrà fatto il suo dovere”
Così leggiamo nel post che presenta l’album di questo inedito duo. E anche se il corso di antica e medievale ho avuto modo di frequentarlo e odiarlo profondamente, “Willkommen Rimini“, per quanto mi riguarda, è già il disco dell’estate.
Benvenuti, Sumeri, willkommen! Non andatevene mai.
Monica Malfatti
Beatlemaniac di nascita e deandreiana d'adozione, osservo le cose e amo le parole: scritte, dette, cantate. Laureata in Filosofia e linguaggi della modernità a Trento, ho spaziato nell'incredibile mondo del lavoro precario per alcuni anni: da commessa di libreria a maestra elementare, passando per il magico impiego di segretaria presso un'agenzia di voli in parapendio (sport che ho pure praticato, fino alla rottura del crociato). Ora scrivo a tempo pieno, ma anche a tempo perso.