Qualche anno fa ebbi modo di chiedere a Dylan Iuliano, in arte conosciuto come The Delay in the Universal Loop e adesso come Xenboi, che differenze ci fossero tra il suo primo tour negli Stati Uniti e il secondo. Mi rispose che nel secondo finalmente poteva sedersi al bancone di un bar e prendere una birra. Questa risposta ci fa capire almeno due cose di Dylan: la prima è che il suo primo giro di live negli States lo ha fatto che non aveva ancora 21 anni; e la seconda che è un tipo e un musicista molto intraprendente.
Dylan brucia le tappe inseguendo la sua musica.
Adesso i 21 li ha superati ma ci manca ancora molto per arrivare ai trenta eppure ha già fatto, non ancora diciottenne, con la sua rock band delle origini, i Verdeiride, dischi usciti con etichette nazionali di tutto rispetto. L’incontro con i sinth, l’elettronica e i campionatori apre al musicista sannita una porta su universi vasti che non ha nessuna paura di affrontare. Forte di una identità che si forgia nella solitudine delle provincia, non perde mai di vista il mondo intero, a livello musicale e sociale. Inner capitalism, il suo ultimo lavoro a nome The Delay in the Universal Loop è un gioiellino di elettronica che fa ballare e riflettere.
Arriviamo poi a Xenboi, progetto nato dall’incontro artistico con il conterraneo Carlo Zollo, musicista, tecnico del suono e producer
Zollo è da tempo in pista con progetti importanti, da collaboratore dei Calibro 35 e Ketama 126 a Myss Keta, Generic Animal e tantissimi altri, fino al suo esordio con il disco Spermatozollo. Due personalità dalla mente aperta e pronta a recepire il nuovo e a mescolarlo e shakerarlo con la musica di qualità. E, dunque, non bisogna meravigliarsi se in xenboi (l’omonimo disco, uscito nel 2021) oltre Zollo (anche in veste di produttore) e Dylan, ci troviamo niente di meno che Enrico Gabrielli (Calibro 35, The Winstons, Mariposa e tanto altro), o le batterie rock di Paolo Mongardi (Zeus!, Fuzz Orchestra, Jennifer Gentle, Ronin).
Può sembrare un gioco quello di mescolare certe sonorità trap con orchestrazioni elettroniche e atmosfere rock anche dure, ma in Xenboi tutto questo assume un senso compiuto. A dare ulteriore legittimità al lavoro ci sono dei testi in cui Dylan si mette a nudo più di altre volte. Non solo racconta la provincia isolata, quasi ai margini del mondo, a suo modo accostandola a Milano o Berlino, ma anche le sue fragilità più intime, in atmosfere giustamente spigolose e talvolta distorte o volutamente disturbanti, ma sempre profondamente reali.
Entrate in queste tracce e ci troverete un linguaggio musicale nuovo e delle parole comuni sotto una luce sorprendente. Questo disco traccia un solco in quel limbo borderline tra mondi sonori diversi, forse cominciando già a costruirne un altro.