The Zen Circus e i loro “Cari Fottutissimi Amici”: un dialogo tra passato e presente
Se scrivere di musica, di per sé, è meraviglioso, parlare della musica e degli artisti che si amano è ancora più bello, ma anche più difficile. Nei giorni che hanno seguito il primo ascolto di Cari Fottutissimi Amici, il dodicesimo album in studio degli Zen Circus, – uscito lo scorso 27 maggio per Capitol/Universal – mi sono chiesta quali fossero le parole più adatte per rendere giustizia a quella che almeno per me, nel panorama musicale italiano, non rappresenta una semplice band ma LA band.
Ciò che conquista degli Zen, al di là della musica, è il loro spirito di condivisione: gli Zen Circus, infatti, cantano (e suonano) da sempre della gente, tra la gente e per la gente. L’etichetta di “band del momento” non gli è mai stata bene addosso e, per questo, Appino, Karim e Ufo l’hanno sempre rifiutata: loro sono il risultato di ciò che hanno costruito in oltre vent’anni in studio, in giro per i club e anche per le strade.
E la scelta dei feat in un album come Cari fottutissimi amici lo dimostra pienamente. Ci troviamo, infatti, di fronte a un disco che non segue nessuna esigenza commerciale, ma si muove dall’incontro sincero e spassionato con amici veri o, comunque, persone stimate.
Insomma, se avessi dovuto pensare a un album fatto interamente di feat, nella discografia degli Zen, lo avrei immaginato proprio così: un incontro tra generi, generazioni e punti di vista. Loro stessi, parlando del disco, lo hanno definito in questo modo:
“Cari Fottutissimi Amici è un disco di libertà. Libertà di passare dal crossover al pop, dall’ambient al rock, dalla psichedelia all’elettronica. Il tutto mano nella mano ad amici di vecchia data ed artisti che ci hanno appassionato nel tempo più o meno recente. Questo disco è una giostra, un tagadà, un autoscontro. Qualcuno si divertirà da matti, qualcun altro si sentirà male, altri non saliranno su alcune giostre, ma noi – veri e propri giostrai – amiamo questo luna park”.
Infatti, anche chi è ormai da tempo abituato a salire sulle giostre del Circo Zen stavolta troverà attrazioni un po’ diverse dal solito. Gli Zen Circus, in questo progetto, sperimentano moltissimo, passando da feat che tutti attendevamo da molto tempo, come Ok Boomer con Brunori Sas e Caro fottutissimo amico, con Motta, a collaborazioni del tutto inaspettate, ma anche tremendamente originali, come Figli della guerra con Speranza e Meravigliosa con Ditonellapiaga.
Restano, invece, invariati i propositi che hanno mosso la loro musica in oltre vent’anni di carriera. Quella degli Zen si conferma, ancora una volta, una musica libera dalle sovrastrutture e profondamente ancorata al reale.
Per quanto mi riguarda, quando è stato annunciato un album di soli duetti, ho pensato a una festa molto rock, per poi ritrovarmi, invece, ad ascoltare un disco pieno di venature malinconiche che spazia tra una moltitudine di generi (non che mi sia dispiaciuto eh, anzi!). Cari fottutissimi amici è malinconia in musica; malinconia nei confronti di un tempo che è passato e che, passando, inevitabilmente ci ha cambiati.
I primi due brani del disco, Ok Boomer con Brunori Sas e Voglio invecchiare male con i Management sono estremamente rappresentativi da questo punto di vista:
“Tu che sfottevi tuo padre, sì sfottevi tuo padre e adesso invece tuo padre sei tu / e fra i ragazzi di oggi, fra i ragazzi di oggi, fra i ragazzi di oggi tu non ci sei più / ma i ragazzi di oggi alla fine sono come noi, con gli stessi cazzi per la testa e la stessa voglia di fare festa…” – Ok Boomer feat Brunori Sas
“Ecco la mia generazione che si tuffa dentro al passato / di rivoluzione ne parlano in tanti / dagli influencer ai cantanti / ma è una questione più di contanti / e quanti / voglio invecchiare male / e solo come un animale / a forza di scherzare mi sta riuscendo anche bene / stai a vedere, stai a vedere…” – Voglio invecchiare male feat Management
Del resto, la riflessione sul tempo e sull’impatto che questo, inevitabilmente, ha sulle nostre vite ha sempre accompagnato gli Zen nella loro carriera.
Questo disco altro non è che un dialogo tra passato e presente, accentuato anche dalla scelta di duettare – e di conseguenza, dialogare – con artisti appartenenti a generazioni differenti, passando da un veterano della musica come Luca Carboni in Ragazza di carta alla giovanissima Emma Nolde in Il diavolo è un bambino.
Tra tutti, un brano che merita particolare attenzione è Johnny con i Fast Animals and Slow Kids. Io, che amo moltissimo sia gli Zen, sia i Fask, quando ho letto di questo feat, pensando a come potesse essere, ho subito individuato due possibili alternative: un pezzo super rock che ai live avrebbe fatto tremare il palco o un brano emozionale da ascoltare in cuffia con il silenzio attorno. A quanto pare la scelta è ricaduta sulla seconda opzione: il risultato è emozione pura. Johnny è un brano perfetto nella sua semplicità; viaggio in un’anima fragile con cui l’ascoltatore, in poco meno di cinque minuti, riesce a fare amicizia. Il brano finisce e ti sembra di conoscere Johnny, forse perché il Johnny cantato dagli Zen e dai Fask, in fin dei conti, sta un po’ in ognuno di noi.
Se, però, per spiegare il senso del disco dovessi selezionare un brano soltanto la scelta ricadrebbe, senza ombra di dubbio ed esitanza alcuna, su “Caro fotuttissimo amico” con Motta.
Perché, forse non tutti lo sanno, ma per gli Zen Circus e per Andrea Appino, soprattutto, Francesco Motta è il “Caro fottutissimo amico” per eccellenza:
“E nello stesso sogno siamo ancora qua / a difendere un’altra stupida libertà / avremo voglia di vedere come va a finire / senza nessuno a dirci cosa era meglio fare / nelle custodie avremo ancora sogni da buttare / occhi da riempire, trucchi del mestiere…”
Nelle pagine di “Andate tutti affanculo”, il romanzo pubblicato dagli Zen Circus nel 2019, viene delineata la storia di quella che è stata l’amicizia che ha legato in primis Andrea Appino e poi anche gli altri membri degli Zen a Francesco Motta. Per farvi capire meglio la forza di tale legame e, di conseguenza, la potenza di questo brano, vi cito qui un passaggio del libro che – per forza di cose – ho dovuto ridurre:
“Appino non si accorge nemmeno che accanto a lui si è seduto Francesco (…) sta per compiere quindici anni e ogni volta che si trova Appino a tiro lo bracca, subissandolo di domande su concerti, tour e metodi di registrazione (…) Andrea si volta e lo guarda. Nei suoi occhi legge lo stesso desiderio di trovare un senso alla vita che aveva lui alla sua età, ma le parole di incoraggiamento che vorrebbe dirgli gli muoiono in bocca. Dovrebbe davvero incoraggiarlo? O sarebbe più onesto fargli presente che lo aspetteranno un bel po’ di rogne?”
Insomma, il sogno di Francesco nasce da quello di Andrea.
I due si incontrano che Francesco era poco più che un bambino e, insieme, attraversano le fasi della vita, anche quelle più difficili, anzi, soprattutto quelle più difficili, in cui tutto sembra perdere senso, in cui tu stesso sembri perdere senso. Forse, proprio per questo motivo, non mi piace definire Caro fottutissimo amico come il coronamento di un’amicizia: un’amicizia del genere non ha bisogno di essere legittimata, si autolegittima. Lo definirei, piuttosto, un regalo che i due hanno voluto fare un po’ a loro stessi e un po’ ai fan, in un racconto di emozioni, più che di fatti lungo undici minuti e quarantanove secondi.
Cari fottutissimi amici non è un album semplice, immediato. Ci sono diversi brani che hanno bisogno di tempo per essere compresi. La musica degli Zen è sempre stata una musica matura, fatta di brani che non si consumano in tre minuti, ma i cui lasciti continuano ad accarezzarti l’anima – o a graffiartela, a seconda delle circostanze – per un bel po’. E, lasciatemelo dire, il fatto che ci siano ancora artisti come gli Zen, la cui musica non si esaurisce nel tempo di un ascolto, è una grande, anzi, grandissima fortuna.
Chiara Montesano
Classe 1997. Ho una laurea in Italianistica ma provo a scrivere di musica mentre sogno la sala stampa di Sanremo.